In Piazza Santa Croce a Firenze c’era un migliaio di persone per il primo appuntamento di un tour tanto inconsueto quanto affascinante, quello che Aldo Cazzullo e Piero Pelù portano in giro per l’Italia nel nome di Dante Alighieri: “A riveder le stelle”. Il titolo dello show è lo stesso del libro che in pochi mesi è diventato già un “best seller” con 250mila copie vendute. C’è un appuntamento già fissato anche ad Alba e per Cazzullo si tratta di un ritorno a casa, quindi qualcosa di davvero speciale. Accadrà tra poco più di una settimana, sabato 26 giugno, ore 21, al Teatro Sociale Giorgio Busca. Sarà un’altra tappa del racconto. Quale? «Quello di Dante attraverso le storie della Divina Commedia che continua a intessere i fili della sua trama da settecento anni a questa parte», spiega Cazzullo. Che con Piero Pelù, amico di vecchia data, forma una coppia multiforme. Dice l’inviato speciale del Corriere della Sera: «Pelù è tanti personaggi: è Ulisse, è Caronte, oppure i diavoli dell’Inferno. Canta “L’isola che non c’è” di Bennato che ben si adatta appunto alla figura di Ulisse che cerca un altro orizzonte. E non manca “Povera Patria” di Battiato strettamente imparentata con le invettive che Dante scagliava contro i potenti del suo tempo, ad esempio nel sesto canto, quello di “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”. Abbiamo creato uno show multimediale, non vedo l’ora di portarlo ad Alba, nella mia città».
L’interpretazione di Pelù è diversa da ogni altra. Non è solo una questione di ritmo. Cazzullo sottolinea che «Pelù è un rocker, però in questo caso è un vero attore. L’idea è nata da un nostro incontro a Palazzo Vecchio, il giorno precedente all’ultimo lockdown. Ero a Firenze per la presentazione di “A riveder le stelle”. Si trattava di un’occasione quindi felice, c’era però un senso di preoccupazione per quell’ultimo giorno di libertà prima delle chiusure. Pelù mi disse: se hai bisogno di un rocker, ci sono. Chi meglio di lui avrebbe potuto avvicinarsi alla lettura di Dante con il suo spirito libero e il suo coraggio?». E così si è sviluppata l’idea dello show. «Io racconto storie, spiego attraverso Dante l’italianità nata all’insegna di qualità che ci rendono diversi da tutti gli altri popoli: bellezza e cultura, non guerre di successione. E poi, a dimostrare la grande forza delle parole usate nella Divina Commedia, ci sono i tanti modi di dire che sono entrati nel nostro uso comune: “solo soletto”, “cosa fatta capo ha”, “non mi tange”, fino a “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare” e molti altri».
Tornare ad Alba per Cazzullo significa rivivere vecchi ricordi. Che spesso lo riportano al punto di partenza, alla magia di Dante: «Ad Alba ho frequentato, come molti, il Liceo Classico Govone dove, naturalmente, qualcuno aveva scritto su un muro del cortile “lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”. Non posso dimenticare la figura di Anna Maria Alessandria: era insegnante e fu anche preside, molto severa, ma anche attentissima all’opera di Dante. Ogni tanto con il mio ex compagno e amico Valter Boggione, oggi docente di Letteratura Italiana all’Università di Torino, sorridiamo ricordando uno dei tanti episodi. Quando la professoressa ci chiese un giudizio “puramente estetico” del lavoro di Dante. Valter, preso alla sprovvista, rispose subito “Bello, molto bello”. E lei di rimando: “Bravo Valter”. Ma a parte questo, in fondo la “prof” Alessandria fu un po’ quello che Brunetto Latini aveva rappresentato per Dante, colui che gli aveva insegnato “come l’uom s’etterna”, ovvero con la cultura, la conoscenza, nella ricerca di qualcosa di eterno fuori e dentro di noi».
Da Firenze ad Alba, dalla città di Piero a quella di Aldo che è entusiasta dell’esordio del tour: «I fiorentini si sono commossi. Non mi sorprende perché nella Commedia ognuno di noi riconosce qualcosa di personale. Come diceva Orazio, “De te fabula narratur”: è di te che si parla in questa favola. È un viaggio intimo nell’animo di tutti noi italiani, quindi anche dei langhetti. Del resto, se ci pensiamo, abbiamo sempre chiamato il “Sommo Poeta” con un soprannome, un diminutivo, Dante: il suo nome era in realtà Durante».
Il successo di questo spettacolo, prodotto da Marcello Corvino, in qualche modo rincuora. Significa che c’è ancora spazio per operazioni culturali: «Accade perché Dante si presta bene ad essere interpretato in tutti gli stili, alto e basso, drammatico e comico. Perché nella Commedia ci sono tutti gli stili, fino alla preghiera dell’ultimo canto del Paradiso». Concetti che ovviamente Pelù condivide: «Dante è politico e storico, oltre che poeta. Dante è una “bestia” come gli uomini del suo tempo che andavano in battaglia e mozzavano le mani dei portastendardi rivali. Mi piace questa Commedia, è Divina ma al tempo stesso molto umana».