Il cuore di Eriksen e quello di Kjaer: la diretta “buona”

Il dramma del centrocampista danese dell’Inter gestito in campo dal capitano (rossonero) con grande umanità

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Se dal punto di vista medico restano an­cora da chiarire le cause che hanno de­terminato, a dispetto dei controlli, quell’arresto cardiaco e il conseguente malore in campo, la (drammatica) vi­cenda che ha visto suo malgrado protagonista Christian Eriksen a Euro2020 ha rappresentato un momento di grande, universale compartecipazione emotiva.
Per una volta la tv si è sottratta alla retorica rappresentazione de­gli avvenimenti, per una vol­ta ha rinunciato al ruolo di tv del dolore (con la mediazione degli addetti ai lavori, fuori di metafora) proprio nei giorni in cui in Italia è stata rievocata quella colossale tragedia collettiva vissuta davanti agli schermi delle tv anni ’80 e riassunta in un nome che rimanda a un incubo collettivo irrisolto: Alfredino.
A Copenaghen nessuna concessione alla speculazione sui sentimenti, c’è stata solo una corretta informazione di quanto accaduto in campo, mentre il mondo è rimasto per un po’ con il fiato sospeso. Al resto ci hanno pensato i giocatori. Sono loro che, nella tragica scansione degli eventi, si sono presi carico della situazione e l’hanno gestita, attimo dopo attimo, con massimo equilibrio, di­gnità e responsabilità. A cominciare da Simon Kjaer, il capitano milanista della Danimarca.
Quando il suo compagno Eriksen ha perso il controllo e si è lasciato andare cadendo in avanti, sul terreno di gioco, il difensore si è reso istintivamente conto del pe­ricolo e si è messo a correre per vedere da vicino che cosa stesse accadendo.
Un intervento che lo stesso medico della Nazionale danese avrebbe in seguito definito provvidenziale: è stato infatti Kjaer a fare in modo che il cen­trocampista dell’Inter non rischiasse il soffocamento operando una mossa basilare in casi simili, spostandogli cioè la lingua dalla gola. Subito dopo è arrivato proprio il medico, a quel punto il cuore di Eriksen si è tragicamente fermato per qualche istante. Ma con le tecniche d’emergenza, il giocatore è stato rianimato. E si è salvato. «Si è aggrappato alla vita».
Il senso del dramma è trapelato in qualche modo dalle immagini televisive della diretta, mentre i giocatori danesi si facevano forza schierandosi attorno a Erik­sen e formando uno scu­do umano tra loro e il resto del mondo, proteggendo l’amico e compagno dagli sguardi invadenti della diretta. Al­cuni di loro erano in lacrime, ma non potevano venire me­no alle esigenze del collettivo. In tanti soffrivano. La squadra si è messa al servizio di Eriksen.
Tutto è accaduto in maniera naturale. Come l’altra azione di soccorso di Kjaer, quella che lo ha portato a proteggere in un abbraccio solido la mo­glie di Eriksen che, nel frattempo, si era precipitata in cam­po, temendo il peggio.
Il mondo davanti alla tv si è adeguato anche a quelle se­quenze, drammatiche e intense al tempo stesso.
La platea internazionale si è collegata in un unico respiro. Lo stesso che ha accompagnato la barella fuori dal terreno di gioco, ancora protetta nel suo tragitto verso l’uscita dalla “testuggine” dei compagni di Eriksen, stretti a coorte, impegnati a scortare l’amico e un ideale.
Poi la gara è stata sospesa, i tifosi di Finlandia e Da­nimarca hanno urlato insieme il nome di Christian. E quando la palla è finita sotto il controllo dei burocrati Uefa, l’equilibrio si è spezzato. Si è saputo dopo come sono andate le cose. I federali avevano paventato l’ipotesi della sconfitta per 3-0 se la Danimarca avesse scelto di non rigiocare subito la partita.
Eriksen si è ripreso e ha dato l’“ok” ai compagni, la gara è ricominciata di sera, dal punto in cui si era interrotta. La Finlandia ha segnato un gol triste e ha vinto. Meglio Kjaer e gli altri ragazzi in campo, meglio quei sentimenti spontanei e umani. Tutto molto meglio dei politicanti del calcio. Sono tempi duri per chi amministra le istituzioni, anche e soprattutto fuori dal campo.
E il motivo è semplice, la spiegazione è banale. Perché ci vuole cuore, sempre.