«La mia montagna non è fatta di tempi»

Paolo Castellino ha dato alle stampe “Vagabondi dell’essere”, un libro intimo con finalità benefiche

0
239

Paroldo respira da secoli in un angolo di terra che guarda alla Langa con gli occhi dell’Appennino. Perché in quei declivi che tentano di graffiare il cielo, convivono l’indole ribelle della montagna e la compostezza delle dolci colline pettinate a coltivi. La chiamano Altra Langa e spesso l’alterità coinvolge, stupisce, attrae. Non è un caso, forse, che proprio qui viva Paolo Castellino, ingegnere nella vita, volontario-soccorritore per vocazione, scrittore di montagna per esigenza e non per scelta. Già, perché le parole per Paolo servono a cristallizzare i ricordi e le emozioni di un’interiorità troppo sensibile per adattarsi al rumore del mondo. «Scrivo per non dimenticare e per continuare a viaggiare tra fessure di roccia, linee di cresta e cieli stellati. Ma non credo di meritare l’appellativo di scrittore». Nelle pieghe di una modestia autentica e non forzata, l’animo introverso di chi considera la montagna come un’estensione del proprio carattere.
Castellino, dopo il fortunato “C’è un tempo per sognare. La storia di Gianni Comino” (Idea Montagna Edizioni 2017), torna alla montagna con uno scritto più intimo e personale. Ma quando nasce l’amore per le Terre Alte?
«Nessuna scintilla improvvisa in realtà. Si è trattato di un avvicinamento progressivo figlio di un’attitudine personale. Nella montagna ricerco la libertà, l’equilibrio, la qualità della vita. Ho bisogno di silenzio, di scavare in me stesso lontano dalle rotte comuni. Scalare una parete, muoversi nel bosco all’imbrunire, risalire una cascata di ghiaccio. Nessuna sfida fisica, ma una propensione all’essenziale. La montagna mi è entrata sottopelle nel corso degli anni e si è sedimentata a poco a poco. Scrivere di montagna, dunque, non è un mestiere né un atto meditato. È un gesto naturale che mi viene spontaneo».
Torniamo al libro. “Vagabondi dell’essere” intreccia emozioni, ricordi e riflessioni, ma spesso racconta anche di gite e di escursioni senza però lasciar traccia di orari e difficoltà di ascesa.
«Ovviamente è una scelta ben ponderata. La mia montagna non è fatta di tempi o di tecnicismi, per quelli esistono i manuali e le guide apposite. Quando cammino o arrampico divento un tutt’uno con l’ambiente a prescindere dal tempo impiegato o dal grado superato. Non credo nella mercificazione dell’esercizio e rifuggo dall’esibizione del gesto. Ogni luogo è pregno di storie e di fantasmi e in ogni passo cer­co di avvicinarmi a loro con delicatezza, partecipando spiritualmente alla loro evoluzione. Ecco il mio “essere”, che diviene parte del mondo in cui mi immergo».
Un lavoro così profondo con una scrittura attenta e meditata avrà comportato uno sfor­zo redazionale notevole…
(sorride) «Nient’affatto in realtà. Non perché mi ritenga particolarmente abile e rapido con la penna, chiariamoci, ma perché non avevo alcuna intenzione di pubblicare il libro. Ogni considerazione, ogni racconto avrebbe dovuto rimanere nel cassetto. Per me, per il mio futuro, per i miei famigliari. Poi però ho avvertito un’esigenza particolare: quella di fare qualcosa di concreto per i bambini meno fortunati e l’unico mezzo che avevo a disposizione era questo».
Da qui, dunque, la scelta di devolvere in beneficenza le vendite del libro.
«Proprio così, volevo soprattutto aiutare i più piccoli. Da vent’anni sono un volontario-soccorritore nel sistema di emergenza sanitaria, conosco il dolore e gli occhi della sofferenza, ma se alcuni più di altri meriterebbero di rimanerne estranei, questi sono proprio i bambini. E così ho raccolto ciò che ho scritto negli ultimi anni, ho stampato il libro e ho devoluto i proventi delle vendite a due realtà associative cuneesi: “Noi con Voi Onlus” di Savigliano (impegnata in progetti benefici nei paesi africani) e il “Centro Gli Aquiloni” di Priola, dedito al supporto per i diversamente abili. Il libro mi sembrava lo strumento ideale per aiutare i più piccoli, anche in termini simbolici».
Una curiosità finale: come si immagina la montagna del domani?
«Non faccio previsioni e non voglio giudicare i comportamenti personali. Mi piacerebbe soltanto che venisse meno questo irrefrenabile desiderio di apparire e di ostentare. La montagna e la natura in generale meritano rispetto, conoscenza, delicatezza. Sono pagine bianche da condividere sulle quali ciascuno può scrivere la propria storia. Ma la mano, allora, non può essere pesante o aggressiva perché non possiamo calpestare o cancellare le storie degli altri».