IL FATTO
I testimonial prestigiosi nella lotta contro i tumori non sono mai abbastanza. il loro esempio può aiutare tanti malati a trovare l’energia mentale necessaria
La storia dell’ultima battaglia di Gianluca Vialli ha un valore straordinariamente educativo. Anche se lui stesso ha corretto questa definizione: «Io con il cancro non ci sto facendo una battaglia», ha detto l’ex bomber della Nazionale, oltre che di Samp e Juve, «perché non credo che sarei in grado di vincerla, è un avversario molto più forte di me. Il cancro è un compagno di viaggio indesiderato, però non posso farci niente. È salito sul treno con me e io devo andare avanti, viaggiare a testa bassa, senza mollare mai, sperando che un giorno questo ospite indesiderato si stanchi e mi lasci vivere serenamente ancora per tanti anni perché ci sono ancora molte cose che voglio fare».
Un discorso autentico ed efficace, un manifesto contro la malattia che da qualche anno ha tolto il vero Vialli dalla scena.
Un magnifico spot per chi ha bisogno di una fonte d’ispirazione in questa partita. In un campo dove la scienza non riesce ancora a segnare il gol della vittoria. Qui non si può parlare di vaccini, ma di ricerca che va avanti e che è costretta ad accontentarsi di piccoli risultati. Che poi è anche la lezione di Vialli. Lui che nella vita ha avuto tutto e avrebbe potuto ancora avere tutto. Un calciatore di famiglia benestante che a sua volta ha trovato la ricchezza grazie ai gol, una vita agiata e in piena salute. Fino alla scoperta del dramma.
Vialli mette da parte i vestiti eleganti, si infila un maglione sotto la camicia per cammuffare la perdita di peso dovuta al suo malessere. Non va più in tv. Racconta in famiglia il nemico che dovrà fronteggiare. E alla lunga capisce. Non si può sempre vincere, a volte si deve soltanto resistere. Chiudere gli occhi, mantenere la rotta. E avere fede. Allora il successo, alla fine, sarà assoluto. E resterà qualcosa di eccezionale, una lezione valida per sempre.
Vialli, al culmine della malattia, ha accettato l’invito dell’amico di sempre Roberto Mancini che lo ha voluto con sé nello staff azzurro. Lui ha accettato, entusiasta. Si è aggrappato alla bellezza di un ruolo legato alla Nazionale, al calcio, al suo ambiente. Si è tenuto in disparte, ma per i giocatori è stato un esempio unico. Amico di tutti, uomo sensibile e forte. Per l’Italia è una risorsa preziosa.
Lui, giocatore e poi uomo di calcio di un’intelligenza evidente, è consapevole del ruolo.
Ha anche detto: «So che, per quello che mi è successo, ci sono tante persone che mi guardano e, se sto bene io, possono pensare di star bene anche loro. Forse perché sono stato un giocatore e un uomo allo stesso tempo forte, ma anche fragile e vulnerabile, quindi credo che qualcuno possa essersi riconosciuto in questo».