«Ogni romanzo è una sfida. Questo lo è più degli altri»

In “Michele antagonista” lo scrittore braidese Nicola Brizio ruota intorno al tema del successo senza talento

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Per provare a capire il mondo di uno scrittore non c’è miglior modo di parlare con lui dei suoi ro­manzi. Così per raccontare il braidese Nicola Brizio non si poteva che iniziare dal suo terzo e, per certi versi, inaspettato romanzo.
Nicola, ci parla di “Michele antagonista”?
«È un lavoro un po’ diverso dai precedenti, dal momento che non è più legato alla fantascienza e alla distopia. Ha una struttura più lineare, che ha un filo logico più marcato. Curioso che il mio primo romanzo non distopico, sia uscito in un anno che lo è decisamente! È una roba che fa riflettere… Questa è la storia di uno scrittore, è un metaromanzo. Uno scrittore che si trova a fare i conti con la sua popolarità improvvisa. Il mio romanzo precedente parlava del talento, questo è sul successo senza talento. Quando certifichiamo che una persona è talentuosa? Quando tutti sono concordi che ne abbia? Oppure quando è la critica ad elogiarlo? O quando è solo apprezzato dai fan e non dalla critica? Una questione abbastanza aperta!».
Come va interpretato il titolo?
«Mi è venuto in mente mentre leggevo un romanzo di Philip Roth, che, per combinazione, parlava di uno scrittore e si intitolava “Zu­cker­man scatenato”. Mi è piaciuto l’accostamento del personaggio con un aggettivo. Nel mio romanzo, invece, c’è un mo­mento in cui il protagonista parla con se stesso e si definisce l’“antagonista di se stesso”. Mentre lo scrivevo, non ho dato molto peso e, invece, successivamente ha attirato la mia attenzione».
Cosa si aspetta da questo suo ultimo lavoro?
«Un romanzo è una sfida. Ho cambiato linea letteraria e quindi è un’incognita anche per me. Magari guadagnerò dei nuovi lettori e ne perderò altri. Mi è difficile fare una previsione. Il mio pessimismo di fondo mi pone di stare un po’ in allerta. L’e­ditoria indipendente funziona quando l’autore può portarla in giro, facendo presentazioni. Vedremo quan­­­to e in che modalità si potrà fare, data l’emergenza sanitaria. Le linee guida per le presentazioni sono ancora leggermente nebulose, ma sto lavorando in questa direzione e non vedo l’ora di tornare a essere itinerante».
Come nasce questa sua passione per lo scrivere?
«La passione per scrittura nasce da quella per la lettura. Non so se sono un buon scrittore, ma so di essere un grande lettore. Prima di scrivere il primo romanzo avevo scritto dei cortometraggi. Pe­rò in quel caso quello che scrivi viene filtrato da un altro artista. Per un’egoista come me, nel ro­manzo quello che scrivi è tuo e rimane così. Ovvia­mente c’è un’intermediazione con l’editore e la casa editrice, però è una smussatura tecnica e non artistica. L’i­dea è di dare una visione, anche di comunicare, di tempi che cambiano velocemente. Tutto è venuto abbastanza naturale. Ho scritto un racconto, poi dieci e poi cento e li ho cestinati. A lungo andare è ar­rivato quello buono. Ma, an­cora adesso, qualcosa lo cestino».
Lei è uno scrittore giovane.
«Nel mio pessimismo, io mi sento vecchio per tutto, però devo ammettere che con la scrittura mi fa sentire giovane. Il mio primo libro è uscito quando avevo 24 anni, il secondo a 26 e il terzo, adesso, a 28. Non penso esista un’età buona per essere uno scrittore: ci sono persone che a 70 anni hanno scritto un ca­polavoro. Tutto dipende dalla credibilità. Se a 28 anni parlassi di un tema che letterariamente posso anche trattare, ma a cui non sono dentro, sarebbe difficile. Vista l’epoca di grandi cambiamenti, abbiamo già tanto materiale per scrivere di cose interessanti».
Bra e dintorni sono fonte d’ispirazione per i suoi lavori?
«Ispirazione totale. Bra è una città stimolante, che ti dà fiducia, con entusiasmo. Ricordo benissimo il primo Salone del Libro di Torino a cui ho partecipato con la Funambolo edizioni di Rieti. Rimasero impressionati dal supporto via social che arrivava da Bra, facendomi notare che non accade spesso. Ho sempre ricevuto tantissimo. Non sarei lo scrittore che sono se non fosse per il luogo dove ho avuto la possibilità di iniziare a scrivere».