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«Sono andato a cercare la mia casa natale»

Pierre Mosca, calciatore e allenatore in Francia, ha vissuto i primi due anni di vita a Demonte

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«Che strano, nella bella Italia non piove mai!». Pierre Mosca, all’anagrafe Pietro, si sta godendo un giorno di sole a spiaggia, a pochi chilometri dalla “sua” Nîmes, nella quale vive dopo aver allenato per anni la squadra locale, quando lo chiamiamo in uno dei tanti giorni di maltempo che hanno accompagnato la provincia di Cuneo in questa strana fine primavera 2021, per rivivere la sua carriera. Esordisce con una battuta che è, però, anche il riassunto del suo amore per il nostro Paese. Perché la storia di un cittadino francese sulle pagine della Rivista IDEA? Perché il percorso personale di monsieur Moscà, allenatore amatissimo oltralpe, si intreccia sin dalle origini con la provincia di Cuneo e, in particolare, con Demonte, dov’è nato e ha vissuto i primi mesi di vita.
Signor Mosca, perché lei e il Cuneese siete così strettamente legati?
«Perché la storia della mia famiglia è la classica vicenda dell’Italia che nel secondo dopoguerra emigrava alla ricerca di fortuna, per superare gli affanni e le carenze che il conflitto mondiale aveva lasciato un po’ ovunque lungo lo Stivale».
Più nello specifico?
«Mio papà Giovanni Battista era uno dei tanti Mosca che ancora oggi vive in provincia di Bergamo. Subito dopo il 25 aprile si trasferì a De­monte per lavorare come boscaiolo, mansione al tempo molto ricercata. Mia mamma Clementina era incinta e soffriva la distanza, quindi ab­bandonò il piccolo quartiere in cui vivevamo per spostarsi in Valle Stura, dove nacqui».
Ricorda qualcosa di quegli anni?
«Purtroppo no, perché ero troppo piccolo. Quando a­vevo quasi due anni, grazie a uno zio che già lavorava in un Centro per l’impiego in Francia, mio papà si trasferì a Pompignan, nel Centro-Sud della Francia, dove sono cresciuto».
E proprio a Pompignan la sua famiglia si stabilizzò…
«Quegli anni furono i più belli. Arrivammo in Francia con una valigia per tutta la famiglia e tanta voglia di lavorare. Eravamo tanti fratelli, ma mio padre si fece conoscere subito come un grande lavoratore, come quasi tutti gli italiani migrati in quelle terre nel Dopo­guerra. Faceva legna per dieci ore al giorno e alla sera, in primavera, si occupava dell’orto, fondamentale per l’economia di famiglia».
Nel frattempo, lei divenne un calciatore professionista…
«Ho esordito nel Mont­pel­lier, prima di trasferirmi al Monaco, in quel Principato che è diventato la mia seconda casa e in cui ho chiuso la carriera in campo nel 1975».
Il suo nome in Francia è, però, molto noto soprattutto come allenatore…
«Non ho vinto molto, sono onesto (ride, ndr). Però mi sono tolto soddisfazioni im­portanti: ho allenato in piazze nobili come Sochaux, Mont­pellier, Rennes e Tol­o­sa, vedendo crescere tanti ragazzi che poi sono diventati dei grandi campioni».
Qualche nome?
«Ricordo con piacere soprattutto il Montpellier del 1987/88, che chiuse al terzo posto in campionato. Era un vero e proprio squadrone con tanti giocatori che conoscete bene anche in Italia: il camerunense Roger Milla, il serbo Nenad Stojković, il brasiliano ex Juventus Julio Cesar e Laurent Blanc, che oggi è un ottimo allenatore e che in passato ha vestito le maglie di Napoli e Inter».
E l’Italia?
«L’Italia è il filo conduttore di tutto questo percorso. Io dico sempre che se i documenti sono a tinte blu, bianche e rosse, il cuore è, invece, colorato con il tricolore italiano. Lo Stivale è casa mia, anche se, come diceva sempre mio padre, non dimentico da dove sono partito: la Francia mi ha dato da vivere e da mangiare e merita un grande rispetto. Si tratta di un concetto che ho voluto trasmettere anche ai miei figli: l’amore per l’Italia e l’apprezzamento per la Francia che ci accolse».
Torna ogni tanto in Italia?
«Praticamente ogni anno. Avendo giocato e poi allenato spesso a pochi chilometri dal confine, non ho perso occasione per tornare. Vado più spesso a Bergamo, dove vivono ancora molti miei parenti, ma sono stato spesso nel Cuneese. Qualche tempo fa, ho anche ritrovato la mia casa di Demonte: era stata ridipinta, ma era sempre lì, come quando l’avevo lasciata».
Parlando di calcio, che cosa si aspetta dalle due nazionali agli Europei?
«Credo che la Francia abbia ri­baltato i rapporti di forza con l’Italia: un tempo qui si guardava con grande ammirazione al vostro lavoro, oggi il ta­lento è nei nostri vivai. Man­cini, però, ha fatto tanto: la squadra è giovane e ricca di entusiasmo e credo che le se­mifinali siano alla sua portata».
A questo punto, non possiamo non chiederglielo: per chi farà il tifo?
«E me lo chiede anche? Ov­viamente per l’Italia. Benché io conosca molti dei ragazzi che oggi giocano nella nazionale francese, io mi sento italiano a tutti gli effetti. Quindi, forza azzurri!».