Ogni tanto Lino Banfi torna in primo piano. Come nel caso dell’esclamazione tipica pugliese (e di Oronzo Canà, “l’allenatore nel pallone”) che ha accompagnato le fortune azzurre a Euro2020 ed è stata rilanciata dagli stessi giocatori nell’esultanza dopo i gol. Segno che l’Italia di oggi non è poi così lontana, nella sua manifestazione popolare, da quella di quaranta-cinquant’anni fa che rideva liberamente e senza freni, lontanissima da ogni frenesia del politicamente corretto.
Perché, se dici Banfi, pensi automaticamente alla famosa “commedia all’italiana”, al genere cinematografico tanto in voga in quel periodo da fotografare esattamente i vizi e le virtù di una generazione, cullata dal boom economico e libera da problemi di prima necessità, tanto da alleggerire un po’ tutto.
I film erano quelli “scollacciati”, immersi in un’atmosfera allusiva, ammiccante e piccante, dove la soglia della licenziosità era spesso superata così come quella della volgarità. Ma sempre all’insegna del più ingenuo divertimento. E, appunto, Lino Banfi era l’alfiere di quella filosofia di vita. Un marchio che è rimasto indelebile nonostante le molte sfaccettature mostrate nel corso della carriera dall’attore pugliese, al quale va dato atto di non aver mai cercato una riabilitazione a tutti i costi. Semplicemente, Banfi non ha rinnegato il suo passato.
Tale consapevolezza l’ha ribadita recentemente alla presentazione di un libro scritto da Alfredo Baldi per Edizioni Sabinae e dedicato proprio all’attore: “Le molte vite di Lino Banfi”. Perché Banfi, a undici anni, pareva avviato alla carriera sacerdotale, prima di lasciare il seminario assieme al suo vero nome (Pasquale Zagaria) per salire sul palco e darsi allo spettacolo. Anzi, inizialmente, all’avanspettacolo. Poi al cabaret e, dopo il cinema, anche alla televisione.
Ripercorrendo le tappe, Banfi ha detto: «Sono sempre stato uno non copertinabile», ovvero mai degno di essere portato in primo piano «né tantomeno mai premiabile: si premiano poco i film che incassano soldi». Già perché i film di cui sopra avevano un grande successo, all’epoca. Ma come altri fenomeni tipici di una società perbenista e ipocrita, chi andava al cinema per assistere a quelle proiezioni, lo faceva di nascosto, senza dirlo in giro. Se ne vergognava, eppure non resisteva all’attrattiva erotica e ridanciana in un mix che oggi appare improponibile.
Banfi invece non si nasconde. Sa che la trasparenza premia sempre. In tv, poche settimane fa, ha rivelato un commovente aspetto della sua vita privata. Ha parlato del suo rapporto con la moglie Lucia, malata di Alzheimer ormai da qualche anno. «Ogni tanto, a casa, ci prendiamo per mano. Facciamo 60 anni di matrimonio più dieci di fidanzamento: stiamo insieme da 70 anni».
E allora ecco uno dei volti di Banfi meno esposti ma più autentici, quello di un uomo “normale”, legato alla famiglia, un nonno sensibile (anche in questo ruolo è stato protagonista mediatico). Un uomo del suo tempo e della sua generazione. Spontaneo.
Banfi, la normalità di un attore dalle molte vite
Ha spronato gli azzurri alla maniera di Oronzo Canà, si è raccontato in un libro, ha svelato il legame con la moglie Lucia: sempre autentico