Gad Lerner, si aspetta un’estate spensierata o caratterizzata dai problemi del dopo Covid?
«I problemi ci sono, perché la pandemia ci ha costretti a verificare la dimensione mondiale della diffusione di questo virus e al tempo stesso il fatto che nessun sovranismo può tenere i confini di una nazione al riparo dal contagio. Questa situazione non è colpa di eventuali untori stranieri, considerata la diffusione mondiale della stessa pandemia».
Quindi il virus continuerà a far parlare di sé, anche sotto il sole?
«Ci sono due questioni da considerare per questa estate. La prima è che abbiamo verificato come in alcune regioni del mondo siamo ancora lontani all’obiettivo di una vaccinazione di massa. La seconda è che proprio in quei paesi considerati “laboratorio”, dove il programma di vaccinazione ha inizialmente seguito un percorso esemplare (mi riferisco a Israele e Gran Bretagna), oggi si registra un nuovo e improvviso aumento dei contagi e delle vittime da Covid. È vero che coloro che sono stati vaccinati due volte sembrerebbero maggiormente protetti dalla variante “Delta”, ma si tratta solo di una metà della popolazione. Ovvio, quindi, che si debba essere un po’ preoccupati in vista dei prossimi mesi».
Che cosa accadrà?
«Temo che l’inizio dell’estate riproporrà l’euforia da scampato pericolo che già abbiamo vissuto lo scorso anno con conseguenze poi pericolose. Ma l’uomo è smemorato, cerca di rimuovere la consapevolezza dei problemi».
Intanto vediamo l’entusiasmo che ritorna, ad esempio, per gli Europei di calcio.
«Ci sono di nuovo eventi, concerti, gli stadi riaperti al pubblico. E sta per ricominciare la diatriba sulle discoteche che, peraltro, rappresentano un’azienda molto importante nel settore del nostro turismo. Ma sono tutte co-azioni che si ripetono senza prevedere una risoluzione del problema, come del resto gli stessi partiti tendono a fare per non perdere consenso».
Quali sono state le conseguenze del Covid sul piano sociale?
«Il virus ha evidenziato e acuito quella spaccatura che già esisteva tra chi percepisce un reddito sicuro e regolare e chi no. Semplicemente questo. C’è un settore importante della popolazione, composto non dico da speculatori, ma da chi ha avuto la fortuna di trarre profitto dalla situazione che si è creata con il lockdown. E c’è chi ha mantenuto un reddito fisso, percepito con regolarità, magari come i pensionati, senza poi avere in quel periodo occasioni per spendere perché non si poteva andare al ristorante o viaggiare. Queste persone hanno visto aumentare i propri risparmi, mentre altri sono sprofondati nell’indigenza, magari perché titolari di attività chiuse o proibite per la pandemia, o perché lavoratori in nero. Ecco la spaccatura».
Quale soluzione?
«Servirebbe un po’ di coraggio, chi ha avuto extra profitti dovrebbe condividerne una parte. Non solo l’industria farmaceutica, anche la grande distribuzione, le attività legate alla logistica. Questo però richiede un’idea diversa dell’economia come la conosciamo adesso e, in realtà, non vedo passi in tal senso. Ma sarebbe un modo di rispondere al nuovo fastidio di chi chiede di prolungare il blocco dei licenziamenti o dei giovani che non accettano lavori stagionali di cui non si evidenziano le condizioni, le ore richieste e i compensi».
Questa politica è in grado di cambiare visione?
«La politica attuale è in mano a economisti e tecnici che certamente hanno le competenze necessarie ma che si sono formati ad una scuola di una stagione precedente, hanno mediamente un’età superiore ai 70 anni e hanno fin qui sinceramente creduto che la formula “meno stato più mercato” fosse la più vantaggiosa, che si dovesse liberalizzare e favorire gli investimenti finanziari e che tutto questo avrebbe aumentato la ricchezza di pochi ma la stessa ricchezza sarebbe, così si dice, “sgocciolata” a vantaggio di tutto il contesto. Oggi gli stessi economisti che hanno condiviso quelle idee, e tra questi lo stesso Draghi e il suo consulente Giavazzi, sono i primi a riconoscere una fragilità storica di una certa scuola, ma è lì che si sono formati».
Cosa dovrebbero fare?
«L’esempio è quello di una tassazione sugli extra profitti da Covid. Per compensare quei negozietti rimasti chiusi mentre tutti noi facevamo la fila fuori dai supermercati della grande distribuzione. Una quota di quella diseguaglianza potrebbe essere ridistribuita a favore e in soccorso di chi non ha guadagnato. Ora, una proposta del genere sarà considerata bolscevica o comunista ma ne ha parlato anche il Papa…».
I giovani come usciranno da questa crisi?
«Credo che la vera promessa mancata, non solo da parte di questo Governo ma anche del precedente, sia stata quella di puntare sull’istruzione salvo poi lasciare tutto a metà. Mi sembra che la pandemia abbia provocato una perdita culturale per i giovani, la cui portata andrà misurata nel tempo, con conseguenze che temo saranno notevoli anche sul piano economico. I ragazzi hanno staccato per un certo periodo con la scuola, con la formazione universitaria, che spesso è stata sbrigata a distanza, con l’esito di lauree frettolose. Effetti negativi da aggiungere a piaghe già esistenti, come i record italiani del minor numero di laureati in Europa, i due milioni di ragazzi (pre Covid) che non studiano e non cercano lavoro. Se consideriamo anche il costante calo delle nascite, si tratta di pessime prospettive. Il Governo aveva annunciato di voler tenere aperte le scuole in estate per recuperare le ore perse, ma si è rimangiato tutto dando la precedenza alle esigenze del turismo. Proprio Draghi, per motivi economici, ha mostrato di considerare più importante il ministro del Turismo Garavaglia che non quello della Scuola, Bianchi. Lungi da me non considerare i problemi degli operatori turistici, duramente colpiti dalla crisi, ma chi guida dovrebbe poter affrontare l’impopolarità di un “no” in nome del futuro dei nostri ragazzi. Che a settembre torneranno (si spera) a scuola più fragili, nevrotizzati e… più ignoranti».