Artista talentuoso, esperto ma con ancora molto da esprimere. È, in estrema sintesi, la descrizione del braidese Mirko Briguglio. Noi di IDEA lo abbiamo intervistato.
Come nasce la sua passione per l’arte?
«Fin da bambino il disegno è stato un gioco; assecondando il mio carattere l’ho trasformato nella capacità di riuscire a rappresentare il mio punto di vista e il mio mondo interiore. Scoprendo, via via, materiali e tecniche, questa attività è andata oltre quella che può essere definita una passione. Nel 2000 ho fatto il “salto” professionale, oltre che una scelta di vita. Ho cioè abbandonato un lavoro sicuro e un certo tipo di vita, per rischiare. Ho aperto uno studio mio. Ci vuole coraggio. Ma del resto quella mia passione è diventata con il passare del tempo un autentico bisogno».
Oggi prenderebbe esattamente le stesse decisioni?
«Assolutamente sì. Nel mio caso si è trattato di un percorso naturale. La realtà non aiuta, perché non si tratta della tua realtà interiore ma semplicemente di ciò che ti sta attorno. Io, però, non sarei mai riuscito a fare un altro lavoro. Nella mia coerenza e nel mio essere critico, verso me stesso in prima battuta, quello che è risultato decisivo è stato il fatto che la tela, il supporto o la carta danno una risposta. Io cerco sempre di migliorarmi».
Ci descriva la sua arte.
«La pittura comporta una lettura che deve essere immediata. Mi colloco al confine tra un forte realismo e un forte espressionismo. E cerco sempre di rappresentare la figura. Non del significato ma dei significanti. Ed essendo un pittore e un disegnatore gestuale, scenico, devo farlo subito, adesso. La mia energia e il mio senso inquieto si originano proprio dall’urgenza di centrare questo obiettivo. E mi lascio guidare come se fossi in un sogno. Nel momento in cui affronto me stesso, vivo una sorta di combattimento con la tela e ciò si traduce in una pittura nervosa, muscolare, dinamica, sempre veloce. Ho realizzato alcuni dipinti, anche di grandi dimensioni, in una notte appena. Senza usare la quadrettatura, la gomma, i proiettori. Se devo fare un baffo di luce, cioè una virgoletta su un naso, spesso lo faccio con un pennello “sbagliato”, più grande del necessario. Questo tratto diventa un gesto pittorico. Cerco di andare oltre la tecnica tradizionale. Amo mettermi in gioco. E poi, lasciando fluire i miei gesti, non ho tempo per pensare troppo a quello che sto facendo. Il colore, invece, lo scelgo prima».
Lei è di origini siciliane, ma ormai braidese d’adozione…
«Ho alcuni tratti tipici del siciliano, perché in me c’è il mare. Ma possiedo anche la luce e i colori piemontesi, braidesi. Della Sicilia mi porto dietro l’“impronta”, delle terre piemontesi l’essere di parola, la pignoleria, i colori e le atmosfere».
Il suo momento professionale più alto?
«Le collaborazioni con le gallerie. Aver frequentato gli ambienti artistici di Firenze e Arezzo mi ha arricchito molto. La pandemia ha messo in “standby” la possibilità di esporre due miei dipinti giganteschi in una galleria di Londra. Speriamo il progetto si possa concretizzare presto».
La prossima mostra, Covid permettendo?
«Dovrebbe essere in una galleria dell’Emilia-Romagna. Sono fermo da due anni e non vedo l’ora di ripartire! E poi punterò all’estero».
È vero che lei odia i compromessi?
«Verissimo. Avrò realizzato almeno 5.000 disegni, ma di visibile c’è il 30%. In rete appena la metà. Ho la tendenza a essere molto critico».
Sarà così per tutta la vita?
«Non mi accontento di quello che ho già fatto. Io lavoro per “serie”, su venti pezzi, e poi ho l’esigenza di cambiare soggetto e modalità per tornare al concetto dei significanti. Trascendere l’opera, arrivare oltre. Devo arrivare a sorpassare, con quel pezzo, tutti gli altri fatti in precedenza. La pittura, per me, arriva dal sistema nervoso e deve scuotere dentro. Non arrivare solo agli occhi, deve andare in profondità. Fino a ricercare il capolavoro, che nasce, quasi inconsapevolmente, dall’interno».