Non capita soltanto a certi amori cantati da Venditti di “fare dei giri immensi” per poi ritornare. Nel caso di Alessandra Forlani Vaira, per esempio, è successo con un libro: il suo “Il pino che faceva le ciliegie”, scritto a inizio del nuovo millennio, stampato nel 2007 e ripubblicato ora.
«I suggerimenti e l’incoraggiamento della professoressa Anita Piovano in primis e di altri che hanno letto il libro, mi hanno convinta a rimandarlo in stampa» spiega l’autrice. «La prima tiratura era esaurita e capitava che amici e conoscenti che ne avevano sentito parlare ne volessero una copia. Così mi sono decisa, apportando alcuni ampliamenti in merito alle descrizioni dei luoghi e della psicologia di qualche personaggio, ma la storia è rimasta uguale».
“Il pino che faceva le ciliegie” (della cui trama ci occupiamo nel box sopra, ndr) non è un libro qualsiasi per Alessandra, nata e vissuta a Torino per la prima parte della sua vita, ma da sempre legata a Cherasco, dove ha passato molto tempo presso la cascina dei nonni a San Michele e ora residente a Sommariva Bosco, paese del marito, il poeta dialettale Luigi Vaira. Parte da questo bizzarro mix di piemontesità la chiacchierata con l’autrice.
Alessandra, in pratica lei è un ibrido di torinese-langhetta-roerina, dico bene?
«Aggiungo un elemento: da anni frequento la Langa astigiana e ho molti cari amici anche da quelle parti, per cui il mio dialetto ha allargato ancora di più i propri confini».
Però leggendo il suo libro si capisce che Cherasco ha un posto speciale nel suo cuore…
« Ancora oggi sento fortissime le radici con Cherasco. Sommariva del Bosco mi abbia accolta come fossi sempre stata una di lì ed è un luogo di cui mi sento parte integrante, tanto che io e mio marito interpretiamo le maschere del paese, Monsù Ghërbin e Tòta Regina».
Nel suo libro ci sono tante storie in una storia. Anche solo i rapporti della protagonista con i personaggi maschili potevano essere ognuno un libro. È una abbondanza voluta?
«Quando ho iniziato il primo paragrafo avevo intenzione di scrivere il romanzo del ricordo della mia casa. Il ciliegio c’era già e intorno volevo ambientare una storia. I miei primi personaggi erano Sabrina, la protagonista, e suo marito; poi, scrivendo, i personaggi sono come spuntati da soli uno dietro l’altro, portandosi dietro le loro emozioni e le loro storie. Alcuni, come Rosina, hanno tratti che ho preso da persone che ho conosciuto nella mia infanzia. Mi piaceva l’idea di fissare il ricordo sulle pagine, per fare in modo che mio figlio, all’epoca piccolino, potesse un giorno rigirare tra le mani il libro e rivivere almeno in parte le storie di queste persone realmente esistite».
Quindi è un’operazione di memoria famigliare?
«Mi piace pensare che agli altri il libro regali emozioni senza quella sensazione di distacco che ho provato io. Mi piace pensare che chi arriva da fuori, leggendo questo libro possa aver voglia di vivere quei luoghi, passeggiare sotto i bastioni, togliersi le scarpe e camminare in mezzo a un vigneto quando c’è l’erba alta, andare dove il Tanaro confluisce con lo Stura e respirare l’aria della sera in primavera».
Quindi quale è per lei il “perché” di questo libro?
«Fissare nella memoria, non soltanto mia, ma soprattutto di mio figlio e delle persone che potrebbero entrare in contatto con il libro, il fatto che esisteva questo modo di vivere in semplicità, una felicità fatta anche di conquiste non conquistate. Questo libro serve in primis a darmi la certezza che la felicità non la trovi nei soldi o nel lavoro, ma si manifesta quando stai bene con te stesso in un luogo che ami e che ti ama. Se senti dentro le tue radici, e non è detto che tutti le percepiscano, non sarai mai felice lontano da lì. Io non potrei andare a lavorare e vivere via».
È felice di questa ripubblicazione perché le dà modo di far leggere la storia a nuovi lettori o perché le ha fatto tornare la voglia di scrivere?
«La voglia di scrivere non mi è mai passata, ho altri tre romanzi nel cassetto. Incompiuti, perché gli impegni della vita mi hanno indotto a metterli da parte per un po’, ma vedere che c’è interesse per questa storia mi ha fatto venir voglia di riprenderli in mano e terminarli. Più di tutto mi ha reso felice constatare che un libro scritto in un altro momento della mia vita, in cui ero diversa da adesso, continui a parlare di me. In un certo senso se questo libro metterà le ali e inizierà a volare per conto suo, vorrà dire che la cascina e il ciliegio che sono stati della mia famiglia per tanto tempo e ora non lo sono più, in un certo senso continueranno ad appartenermi».