Conosciamo tutti la legge Merlin che abolì le case di tolleranza, oppure la Basaglia che chiuse i manicomi. Nel linguaggio popolare sono nomi di leggi, nemmeno si pensa più a promotori e firmatari: quanti sanno che Lina Merlin era una maestra socialista impegnata nella difesa dei diritti delle donne? E Franco Basaglia non un politico, ma uno psichiatra innovatore? Dalla storia all’attualità, l’equivoco si rinnova, ché tutti parlano di Ddl Zan, polemizzano e parteggiano, ma poco o nulla sanno di chi gli ha dato nome: Alessandro Zan, 47 anni, ingegnere delle telecomunicazioni, curiosamente veneto come Merlin e Basaglia. «Il nome è mio perché sono stato nominato relatore alla Camera», si schermisce, «ma è una legge di tutti quei colleghi parlamentari che, da tempo, si battono e impegnano per portarla a casa».
Il disegno, passato alla Camera e impantanato al Senato, è contro l’omotransfobia: vuole punire qualsiasi discriminazione legata al sesso, all’orientamento sessuale, alla disabilità e al genere. Temi cui il deputato del Pd, in Parlamento da otto anni, è sensibilissimo da sempre. Gay, ha avuto la fortuna di non essere in gioventù vittima di bullismo pesante, ma allusioni e sberleffi ne hanno accompagnato la crescita. Il percorso che conduce alla legge comincia in Inghilterra, in occasione dell’Erasmus: Alessandro può paragonare due modelli sociali e rendersi conto di quanto indietro sia l’Italia, così al ritorno sceglie la militanza, decide di contribuire alla costruzione di un nuovo pensiero, di collaborare a un mondo fatto di accettazione e di rispetto. Organizza il primo “gay pride”, diventa promotore della prima anagrafe italiana per coppie di fatto, diventa assessore nella giunta Zanonato. Sorprende che un sindaco sceriffo scelga un omosessuale, ma il primo cittadino spiega: «È un’opzione personale che non discuto, io voglio avere in giunta assessori capaci». Padova è laboratorio felice, isola di dialogo, e certi ricordi, oggi che il Ddl così divide, fanno pensare: il “gay pride” fu inaugurato dalle parole dell’arcivescovo: «I gay sono i benvenuti». Zan, in realtà, confida in un’intervista d’aver avuto una formazione cattolica, ma non essersi poi sentito accettato dalla Chiesa decidendo, per questo, di allontanarsene. Al dialogo è aperto, ma ha dei punti fermi. Rispetta posizioni differenti ma non «strumentalizzazioni e invasioni di campo», è pronto a modifiche purché non comportino disparità, non prende in considerazione compromessi: «L’Italia», ripete «deve decidere da che parte stare».
Perché, spiega, «non vogliamo limitare la libertà d’espressione di nessuno. Non sarà una legge-bavaglio, né una legge liberticida. Anzi non sarà neppure una nuova legge, perché la legge Mancino è stata vagliata dalla giurisprudenza per oltre quarant’anni e offre le più ampie garanzie costituzionali. Abbiamo un solo obiettivo: tutelare le persone più vulnerabili. Non inseguiamo né progetti ideologici né di propaganda». Zan aspetta: conosce la pazienza. E lotta, come ha sempre fatto. Con quella forza che scoprì di aver al momento del “coming out” con mamma e papà. Lei reagì con un sorriso, rispose con tenerezza, lui la prese male ma poi è diventato suo sostenitore.