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«Il Monregalese può spiccare il volo»

L’imprenditore Ferruccio Dardanello analizza le opportunità che il territorio ha per ripartire

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Un territorio, il Mon­regalese, e una provincia, la Granda, pro­n­­ti a ripartire. Con ottimismo e inaugurando una stagione di “sì”. Parola di Ferruccio Dardanello, imprenditore, presidente della Camera di Commercio di Cuneo per 27 anni.

Qual è la situazione attuale? Ce la descriva.
«Proprio in questi giorni il “modello Cuneo”, un modello economico che non ha eguali nel nostro Paese, viene celebrato dagli studi del professor Valerio Castronovo, il più grande storiografo economico italiano. L’ho raccontato per anni e in ogni posto, a volte suscitando qualche sorriso ironico: mi si diceva che parlavo col cuore anziché con i numeri, ma adesso è dimostrato che questo distretto economico è unico in Italia ed è pure tra i più importanti in Europa».

Quali sono i principali punti di forza di quest’area?
«Una prima potenzialità è il fatto che il tessuto economico sia variegato e distribuito in vari àmbiti: non è vocato solo al mondo industriale, agricolo, del terziario, dell’artigianato. Qui sono presenti tutte le componenti dell’economia, che in termini generali quasi si equivalgono: una peculiarità unica. Oggi ci lamentiamo di essere diventati una realtà tanto grande nel mondo senza avere quelle ali che sono le infrastrutture, invece deve essere un motivo d’orgoglio: nonostante questa ca­renza, la classe imprenditoriale non è mai tornata indietro e, anzi, pure nelle grandi difficoltà, ha scommesso tantissimo. Anche dal punto di vista orografico la situazione non è favorevole per creare grandi processi di crescita: il 52% del territorio è montagna, il 30% collina e la pianura nemmeno il 20%. Il nostro Paese e il mondo ci insegnano che di solito servono facilità nelle comunicazioni e infrastrutture e che la montagna e la collina non hanno queste caratteristiche; invece qui la gente ha saputo produrre talmente tanto e bene da diventare leader in numerosi settori. 8 miliardi di export sono una cifra fantasmagorica per una provincia di 580mila abitanti: siamo grandi come un quartiere di Milano o la metà di Torino».

Quali sono gli ingredienti per la ripartenza?
«Oggi, nonostante una stagione così infausta e infelice, possiamo guardare avanti con la prospettiva e l’augurio di un piano di infrastrutturazione e di una stagione dei “sì”: quella dei no deve finire. Il futuro è già sotto i nostri occhi, basta aprirli: possiamo diventare la porta d’ingresso di parte dell’Europa verso il Mediterraneo, in una fase in cui il mondo si avvia a una grande stagione in cui i traffici avverranno via mare. Noi siamo a un crocevia fantastico che si chiuderà con la Tav, che taglierà perpendicolarmente l’Europa collegando Lisbona a Kiev, il Medi­terraneo col Mare del Nord. Ci troviamo in un angolo strategico, finora non sufficientemente considerato a livello di autostrade e trafori. Il fatto che il Buco delle Tra­versette sia stato fatto dieci anni prima della scoperta dell’America dice tutto sull’immobilismo della nostra comunità: già allora perforavamo le Alpi pensandole come una cerniera, poi siamo rimasti fermi per seicento anni fino al Frejus e al Tenda, opere ormai di due secoli fa. Dopo non è più stato fatto nulla per favorire la competitività e i trasporti verso i grandi mercati, e va ricordato che la Francia per noi è il primo mercato in termini di esportazioni, quindi vanno usati tutti i riguardi possibili e immaginabili per far sì che le merci volino Ol­tralpe, con i tempi e i co­sti minori possibili».

È ottimista?
«Sì, per natura, ma in questo caso doppiamente e triplamente, perché ci troviamo in un’area strategica per i prossimi decenni. Credo che la classe politica dirigente debba guardare non solo al quotidiano ma avanti, con lungimiranza, per caratterizzarci come snodo baricentrico straordinario oltre che come luogo dove si producono eccellenze che il mondo ci invidia. E non dimentichiamo la fortuna di essere nati e di vivere in un paradiso terrestre: a volte non ce ne rendiamo conto, talmente siamo abituati al bello, ma chi arriva rimane “mba­jà”, esterrefatto ».

Quale ruolo avrà il Mon­re­galese in tale processo?
«È la porta d’ingresso che già i Savoia avevano individuato per i retroporti: dal punto di vista geografico da secoli ha una funzione incredibile di raccordo fra Alpi e Appen­nini. Negli ultimi decenni ha avuto alterne fortune e ora vive qualche difficoltà: ha bisogno di trovare una nuova identità e chissà che le opportunità in campo, oggetto di strategie per il futuro, non possano permettere che Mondovì non sia più solo una città di cultura, industria e commercio, ma qualcosa di più. È tempo di rimettere le ali alla “Mondovì ridente”, come la definiva Carducci, che in questo periodo ha un sorriso un po’ stretto: ci sono le condizioni perché possa avvenire».

A cura di Adriana Riccomagno