«Siamo una comunità innovativa e sostenibile»

Le Terre del Marchesato vogliono ripartire. Il sindaco di Saluzzo Mauro Calderoni guarda al futuro con ottimismo ed esprime fiducia per la candidatura a Capitale Italiana della Cultura

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Tenere insieme l’ordinario con lo straordinario, «dai tombini sconnessi e i lampioni ai grandi progetti». Il sindaco di Saluzzo Mauro Calderoni, or­mai vicino alla metà del suo se­condo mandato, racconta con orgoglio il lavoro fatto dalla sua Amministrazione e di come, in tutti questi anni, la Giunta abbia sempre cercato di coniugare le piccole esigenze cittadine a idee di più ampio respiro in grado di generare una nuova idea di co­munità. Rieletto con una robusta maggioranza nel 2019, Calderoni, dopo i complicatissimi mesi della pandemia, guarda oggi con ottimismo al futuro, scommettendo sulle possibilità di ripresa del territorio saluzzese, che dovrà affrontare fin da subito, però, problemi antichi e nuovi, a cominciare dalla questione dei braccianti agricoli fino al grande tema delle infrastrutture, snodo fondamentale per dare nuova linfa al tessuto produttivo delle terre del Monviso.

Sindaco Calderoni, cominciamo dalle questioni più immediate. Quali iniziative ha mes­so in campo il Comune per incentivare la ripresa del Saluzzese?
«Sono molti gli interventi e i progetti in partenza per ridare ossigeno alla nostra zona dopo la drammatica fase pandemica. Alcuni di questi sono nuovi e dettati dalla contingenza, altri ap­puntamenti già proposti negli anni passati: utilizzando risorse comunali, oltre a quelle nazio­na­li, stiamo lanciando misure straordinarie di sostegno alle fa­miglie e alle imprese (riduzione tributi, sostegni per nido, scuola, sport, affitti e utenze). Oltre a ciò, abbiamo dato la possibilità al comparto della ristorazione di ampliare i dehors sul suolo pubblico, in modo da poter accogliere in sicurezza l’utenza che aspettiamo per i nostri eventi in programma. Ricordo Occit’amo, il festival diffuso nelle nostre vallate, la tradizionale Saluzzo Estate, la 100 miglia del Mon­viso, tutto gestito dalla Fon­da­zio­ne Bertoni, e la nuova mostra di Artea sui tesori del Mar­che­sato di Saluzzo. E naturalmente, a fine estate, San Chiaffredo e la Fiera della Meccanizzazione Agricola».

Sarebbe necessario, con un calendario così ricco, avere una rete di trasporti adeguata per i visitatori in arrivo. Qual è la situazione della tratta ferroviaria “Saluzzo-Saviglia­no”, riaperta nel 2019 e poi richiusa?

«Al momento, dalla Regione non ci sono novità. La nostra proposta, già nel 2019, era incentivare gli spostamenti via treno dei circa 500 studenti saluzzesi che si muovono verso Savigliano e Fossano, al momento gestiti grazie ai bus. Oggi, vista la situazione, rilanciamo con forza questa idea, raccogliendo anche le forti preoccupazioni che arrivano dal mondo scolastico».

I contrari, però, dicono che quella tratta non è economicamente redditizia.
«Teniamo conto che in realtà il Saluzzese, a fronte dei circa 17.000 abitanti della nostra città, raccoglie un bacino di utenza proveniente dalle aree montane e pedemontane di 90.000 persone. L’esperienza ci insegna che è l’offerta che crea l’utenza, oggi chiaramente poco incentivata a utilizzare il treno per le carenze del servizio. Aggiungo ancora che Saluzzo sta lavorando, insieme a comuni vicini e aziende del settore, per proporre sulla nostra tratta ferroviaria un modello sperimentale dal punto di vista ambientale, grazie alla nuova tecnologia a idrogeno».

La questione delle infrastrutture non si esaurisce solo con la ferrovia. Si è fatto un’idea, intanto, del perché un territorio che è un gigante economico sia così arretrato da questo punto di vista?

«Credo sia storicamente mancata la capacità da parte di tutti gli attori in campo di fare squadra e lavorare in maniera coesa».

Quali altri progetti state portando avanti per affrontare il problema?

«Lavoriamo principalmente su due nodi strategici: la pedemontana “Saluzzo-Pinerolo-Cuneo” e la “Saluzzo-Savigliano”, che vuol poi dire, in sostanza, il collegamento con Marene e l’autostrada, che, dopo anni di lavoro intenso con la Provincia e la Re­gione, ora sono di competenza di Anas. Nell’elenco delle priorità stabilite dalla Provincia nell’ambito dei fondi europei la pedemontana è la seconda, elemento che ci fan ben sperare; rimane poi il tema delle circonvallazioni di Savigliano e Ca­vour, che permetterebbero di guadagnare circa quindici minuti negli spostamenti, su cui continuiamo a insistere».

Anche perché Saluzzo e le ter­re del Monviso si candidano a essere Capitale Italiana della Cultura per il 2024. Quali sono i vostri punti di forza?

«Come si evince dal nome del nostro progetto, non scommettiamo su una singola città, ma su un intero territorio che guarda a tutta l’area della valli alpine; un territorio, va sottolineato, che è sempre stato storicamente coe­so dal punto di vista sociale, culturale ed economico e che ci ha permesso di immaginare fin da subito un percorso di questo tipo senza dover inventare nul­la. Questo progetto ci porterà a riflettere in maniera approfondita sul rapporto tra le terre alte e quelle pedemontane, interrogandoci sui nuovi modi in cui si può e si deve essere una comunità, innovativa e sostenibile dal punto di vista ambientale. E poi credo che in un momento di ritorno dei nazionalismi sia importante mettere in gioco la peculiarità di un’area di confine come il Saluzzese, che è sempre stata, dai tempi di Ludovico II e Margherita di Foix, una cerniera di collegamento con il resto dell’Europa e mai una barriera».

Sindaco, chiudiamo con il tema più delicato: la questione dei brac­cianti agricoli e della loro sistemazione. Quale situazione dobbiamo aspettarci?

«Partiamo dai numeri: la frutticoltura cuneese impiega circa 12.000 stagionali, un numero in aumento a causa dell’ampliamento dei terreni coltivati e, di questi, circa il 50% è costituito da africani subsahariani. Man­cando un si­stema di collocamento efficace arrivano più persone di quante ne possa impiegare il territorio e ad alcuni purtroppo, essendo un grosso problema trovare alloggio, non resta che accamparsi in sistemazioni di fortuna. Il nostro impianto normativo per la gestione dell’immigrazione e dei flussi lavorativi fa ancora riferimento alla “Bossi- Fini”, i cui criteri però sono difficilmente applicabili; teniamo conto che, al momento, su tutto il territorio nazionale si contano 600.000 richiedenti asilo. È chiaro che un’area di dimensioni limitate come Saluzzo non è in grado di affrontare da sola un flusso così massiccio; certo, do­ve le realtà socio-economiche so­no più reattive, come nel nostro caso, si riesce a dare una risposta attraverso il volontariato delle istituzioni e gli enti di supporto presenti sul territorio, ma ciò non può bastare. Noto comunque che, progressivamente, la situazione è migliorata in maniera sensibile e gli aspiranti lavoratori costretti a dormire in strada sono diminuiti, grazie a una rete di ospitalità più ampia. Ma non si può eludere un punto dirimente: le questioni del collocamento, dello stabilire cioè in quali parti di Italia servano i braccianti, e il tema dell’accoglienza di questi lavoratori, che per molte ragioni non riescono a garantirsi autonomamente una sistemazione, devono ne­cessariamente essere affrontate da una prospettiva nazionale, stabilendo leggi chiare e smettendola di delegare ai piccoli comuni come il nostro sfide al di fuori della loro portata».