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«La cucina, metafora per parlare della vita»

Debutta ad agosto ad Asti la pièce scritta da Paolo Ferrero dedicata al gastronomo Giovanni Goria

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«Avremmo dovuto de­buttare nell’autunno del 2019, poi è successo quel che è successo e così sono due anni che viviamo con la frustrazione di non poter mettere in scena un’o­pera che è pronta». L’attesa di Paolo Ferrero, autore della sceneggiatura, è finalmente terminata, perché venerdì 20 agosto alle 21,30 “La cucina è chiusa”, spettacolo inserito nel cartellone della rassegna teatrale “Estiamo insieme” organizzata dal Comune di Asti, vedrà la sua prima rappresentazione nella città del palio, nel Cortile del Palazzo del Michelerio. Un esempio di piccola produzione, creata ex novo, che ha saputo tener duro nonostante le difficoltà, e di un progetto che è figlio di una volontà precisa, come ci spiega Ferrero.

Da dove nasce l’idea e la volontà di affidare un testo teatrale alla sua scrittura?

«Nel 2019 ricorreva il primo anniversario della morte dell’avvocato Giovanni Goria, gastronomo eccezionale che fu anche vice presidente nazionale dell’Accademia italiana della cucina, nonché autore, tra gli altri, di “La cucina del Piemonte: il mangiare di ieri e di oggi del Piemonte collinare e vignaiolo”, una vera e propria Bibbia per chi si interessa di cucina dalle nostre parti. Parlando con un amico è nato il desiderio di ricordare questa figura; ma non volevo farlo con l’ennesimo convegno indirizzato agli addetti ai lavori. Ho pensato sarebbe stato bello, invece, scrivere qualcosa e mi è subito venuto in mente Alessio Bertoli, regista che apprezzo moltissimo. Ci siamo confrontati, abbiamo discusso di come la cucina potesse diventare metafora e strumento per parlare anche di altro, e mi sono messo a scrivere. Ho trovato il titolo di getto e non è più cambiato, mentre il resto della sceneggiatura ha subito qualche va­riazione nel corso del tempo».

Certe storture della cucina contemporanea prese a me­tafora della vita richiamano alla memoria suoi testi precedenti…

«Sì. In un certo senso “La cucina è chiusa” riprende e chiude il tema che avevo affrontato in “Anime in carpione” (romanzo edito da Mur­sia, ndr), che ha ormai quasi dieci anni. Anche se ora il mio linguaggio è molto più sobrio e asciutto: dal punto di vista stilistico si avverte nettamente che è passato del tempo».

Di cosa tratta? Per quanto è possibile anticipare…
«La pièce ruota attorno a due personaggi principali, un ri­storatore e una cameriera (interpretati da Alberto Barbi e Isabella Tabarini), ma tra le ideali comparse figura anche “l’avvocato”, che ri­manda chiaramente a Goria, il quale nella trama ha una funzione simbolica. Egli è per il ristoratore come un nume tutelare, il rappresentante di un tempo ormai an­dato in cui la cucina era cosa molto diversa.

È però la prima volta che si cimenta con la scrittura per il teatro. Quali le differenze rispetto alla stesura di un romanzo?
«Nel mio caso l’unica cosa che le ha accomunate è questa specie di flusso di parole, chiamiamola ispirazione se vogliamo, che mi ha guidato. Per il resto sono due esperienze molto diverse: quando scrivi un romanzo non devi rendere conto a nessuno, al massimo a un editor, mentre da autore teatrale devi comprendere e accettare che il tuo testo “agisca” attraverso il regista, gli attori, ecc. Diventa imprescindibile un confronto tra personalità diverse e a volte come autore di prosa ci si scopre impreparati, ma è davvero una bella sfida, ne vale la pena».