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«Lavoro nel paesaggio e per il paesaggio»

Lara Sappa di Garessio ha già realizzato diversi progetti premiati a livello internazionale

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Una piana inaspettata che si apre nelle viscere di montagne che profumano di mare. Da una parte la Liguria con il suo entroterra e le sue spiagge, dall’altra l’arco alpino che si nasconde dietro la sagoma del Mindino. Da secoli Garessio è terra di scambi e di passaggi, ma sono movimenti che solleticano la mente e l’ingegno. Lo testimoniano un borgo medievale considerato tra i più belli d’Italia e quel respiro artistico che ha dato i natali, tra gli altri, a Giuseppe Penone e a Giorgetto Giu­giaro. E non è un caso, forse, che proprio in questo angolo delle Alpi di Cuneo sia cresciuta Lara Sappa, architetto paesaggista classe 1982, protagonista negli ultimi anni (insieme al collega Fabio Revetria e allo studio associato Officina 82) di alcuni progetti apprezzati e premiati a livello internazionale.

Partiamo da lontano: da dove nasce il suo amore per l’architettura?
«Non c’è stato un fattore scatenante in verità. Mi sono avvicinata al mondo dell’arte grazie alla mia insegnante delle scuole medie, ma probabilmente anche la vitalità culturale di Garessio ha contribuito ad alimentare l’interesse verso queste tematiche. Ho frequentato con piacere il Liceo Bianchi di Cuneo seguendo un percorso figurativo, poi ho avvertito a poco a poco l’esigenza di maggior razionalità e concretezza ma­terica. Da qui, dunque, l’iscrizione alla Facoltà di Archi­tettura e il successivo incontro con Fabio, dal quale si è originata quella spinta propulsiva che ancora oggi alimenta la nostra creatività reciproca, sempre orientata al paesaggio».

In proposito quanto le sue creazioni si ispirano al paesaggio e quanto invece ne diventano parte integrante?

«Il confine, in effetti, è molto labile. In ogni mio progetto cerco di lavorare nel paesaggio e per il paesaggio, in una continua compenetrazione di spazi tra ispirazione e reinvenzione. Nessuna “land art”, insomma, ma un’immersione olistica nella storia e nella trazione dei luoghi. Dopotutto anche la creazione mia e di Fabio fino ad ora più conosciuta (la StarsBox, nda) nasce da uno studio approfondito del territorio delle Alpi Liguri e delle sue genti. Abbiamo a lungo analizzato i ricoveri temporanei dei malgari e dei pastori di un tempo, straordinari esempi di architettura vernacolare. Da qui siamo partiti con l’idea di realizzare un analogo riparo che fosse funzionale per una o due notti, ma che rappresentasse altresì un elemento armonico per l’ambiente ospitante. Sostenibilità dei materiali e interazione tra interno ed esterno sono quindi stati i nostri requisiti di partenza».

Ha già citato le StarsBox, ormai diffuse in tutta Italia. Altri progetti di cui si sente orgogliosa?
«Senza dubbio “Selucente”, il percorso di recupero della borgata Alpisella di Garessio, un luogo di sperimentazione do­ve la bioarchitettura incontra ancora una volta la sostenibilità. Il nome stesso amalgama un richiamo alla Divina Com­media (“lucente”, Canto X del Paradiso, nda) e un rimando alla seduzione estetica e paesaggistica dura e pura. “Se­lu­cente” vuole rappresentare un punto di arrivo con la presenza delle creazioni fino a ora realizzate (StarsBox e Glam­Box), ma intende soprattutto porsi co­me un punto di partenza per il recupero completo di una borgata alpina. Nei prossimi mesi l’opera di riqualificazione si estenderà ad altri ca­seggiati in pietra, con l’o­biet­tivo ultimo di ridare vita re­sidenziale all’intera frazione».

A proposito di vita, l’architettura può assolvere anche una funzione sociale specie in ambienti marginali?
«Assolutamente sì. Uno dei motti più diffusi degli ultimi anni è stato “Noi siamo quel che abitiamo” e credo che questo valga a maggior ragione dopo lo scoppio della pandemia. Il luogo in cui trascorriamo la maggior parte del nostro tempo diventa fondamentale per il nostro benessere psicofisico. L’importanza degli spazi aperti e la bellezza estetica del paesaggio e delle abitazioni diventano allora elementi imprescindibili per la nostra esistenza. In questo senso gli areali marginali posseggono un potenziale enorme in termini di sviluppo e di possibilità. Riconnettersi dun­que con ciò che è stato rinnovando comfort e materiali. Questa la sfida che ci attende con le vecchie borgate alpine, ricordandoci sempre dell’insegnamento di Gustav Mahler: “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”».

Qualche sogno nel cassetto?
«Tanti e variegati, ovviamente. Il più pressante ma anche il più prossimo alla realizzazione, una casa sull’albero in un angolo meraviglioso della Maremma. Un’installazione innovativa su una quercia secolare che spero possa concretizzarsi nella primavera del 2022. E chissà che prima o poi non si riesca a replicare anche nella nostra zona».

BaNNER
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