I grandi temi, come quello del razzismo, una volta che entrano nel circuito mediatico dell’informazione si dividono in mille rivoli.
Lo abbiamo visto ai recenti Europei di calcio, dove la questione dell’inginocchiamento dei giocatori prima di una partita, ovvero l’adesione più o meno convinta delle squadre a manifestare simbolicamente in favore del movimento “Black Lives Matter”, è diventata essa stessa cuore del problema, superando paradossalmente le urgenze del razzismo.
È capitato che una squadra si sia inginocchiata e l’altra no, che qualche giocatore lo abbia fatto autonomamente e qualcun altro no.
Gli azzurri hanno perso l’attimo e sono caduti nella trappola. Si è sollevato un polverone mediatico. Giusto condividere un gesto che condanna il razzismo, ma ancor più giusto sarebbe mettere in pratica i principi più sani, guardare alla sostanza e non limitarsi alla forma.
Alla fine di tutto, sorge spontanea un’altra domanda (superata la sbornia azzurra per la vittoria a Wembley): ma c’è ancora e ci sarà razzismo nel calcio italiano, in quello inglese e in generale europeo?
Recentemente, a Sky Sport, ha dato una risposta interessante Angelo Ogbonna. Il difensore ex Toro ed ex Juventus, già nazionale azzurro, ora al West Ham, è stato chiaro e spiazzante, ribadendo che «di queste cose non se ne dovrebbe parlare. Per fare in modo che qualsiasi forma di discriminazione si estingua, dovremmo smettere di parlarne».
Perché vale un po’ il concetto di cui sopra: il rischio è che se ne parli a sproposito, fino a perdere il senso del problema, oltre al fatto che se si evidenziano comportamenti razzisti, in qualche modo se ne legittimano gli autori, pur biasimandoli. «In qualsiasi sport c’è uguaglianza», ha aggiunto Ogbonna. «Non penso che si vada a guardare il colore del compagno di squadra o dell’avversario. Magari la frustrazione ti può permettere di fare una battuta che però non ritengo mirata. Il fatto che se ne parli ancora oggi è questa la problematica. Il razzismo, o meglio la discriminazione, non andrà via. Può nascere in ogni contesto: col povero, col meridionale… Quindi meglio evitare di parlarne, soprattutto nello sport».
Altrimenti si ingenera un altro effetto, l’ipocrisia. La stessa che spinge a considerare l’inginocchiamento sempre doveroso, più ancora dei comportamenti. Ha ragione Angelino: nello sport c’è già la risposta. C’è l’etica che, senza orpelli, ogni giocatore condivide sul campo con naturalezza.
Le eccezioni non incidono sulla coerenza. E allora, in questo senso, meno se ne parla e meno si fa confusione. O no?
L’opinione di Angelo Ogbonna
«Non bisognerebbe parlarne. nel concetto di sport non esiste la discriminazione, siamo tutti uguali. Il dibattito, invece, non fa che ingigantire il problema»