«La svolta ecologica avrà costi enormi servono ricchezze»

Peter Gomez: «non si può aspettare, nel mondo i capitali ci sono» Il co-fondatore del Fatto Quotidiano: «Perché Draghi ha richiamato Fornero al Governo? Lui è pur sempre il campione delle élite, ma in questa fase servirebbe una maggiore sensibilità. Tra le riforme, quella ambientale è la più urgente: dovremmo spiegare ai nostri figli che Venezia sarà sommersa dall’acqua»

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Peter Gomez, partiamo da qui: perché Mario Draghi ha richiamato tra i tecnici del suo Governo Elsa Fornero?
«Ha evidentemente valutato le capacità dell’economista, però il Paese non sembra affatto in sintonia con questa scelta. Si ripropone il dibattito a cui avevamo già assistito attorno agli economisti liberisti, consulenti del Governo. Sono tutti studiosi qualificati ma su posizioni che negli anni si sono rivelate sbagliate. Lo stesso Draghi, che condivide un’identica formazione, ha avuto un ripensamento su certe convinzioni. E allora questa scelta risuona un po’ come se il sentiment dei cittadini non contasse nulla. Come disse il marchese del Grillo: “Io so io e voi nun siete…”. Finché è popolare, il Governo Draghi può permettersi anche scelte contrastate, però in questa fase ci vorrebbe almeno una maggiore sensibilità».

Ma perché allora imporre un nome così discusso?
«Sono due i motivi. Uno è cer­tamente per la fiducia ri­posta nel personaggio, più che legittima. L’altro motivo è che Draghi è il campione delle élite, inutile girarci in­torno. La storia lo ha dimostrato. È passato dalla privatizzazione di Montepaschi, è stato il salvatore dell’Euro e dell’economia italiana. Ha condiviso teorie iperliberiste, ma con il Covid ha evidenziato una svolta fino quasi a sostenere la teoria dell’“helicopter money”, approfittando dell’uscita allo scoperto delle stesse élite. Del resto, lo aveva detto anche De Be­nedetti che i populismi sono stati creati da chi controlla le scelte globali. E, allora, il campione delle élite dovrebbe dimostrare che, capito l’errore, si deve voltare pagina».

Il cambiamento del modello economico è qualcosa di realistico?
«Del cambiamento credo ab­biano ormai parlato tutti in Europa, ma la pandemia non è stata scatenata dal liberismo o comunque a tavolino… a meno che non ci dimostrino che è uscita da un laboratorio cinese; cosa che, a quanto si legge, non possiamo escludere. Ma la crisi è precedente ai sovranismi e precedente alla pandemia. Non so se ci sarà una svolta. Vedo tanti timori e concordo ad esempio con il Ministro della Transizione Ecologica che ha sottolineato i grandi costi dell’operazione ambientale. Però, così come ci era stato spiegato che i no­stri debiti sarebbero ricaduti sui nostri figli, ora do­vremmo spiegare loro che Venezia sarà sommersa dall’acqua. Non c’è più tempo. Eppure, esistono capacità tecnologiche per intervenire e nel mondo c’è ancora tanta ricchezza, capitali enormi a cui si dovrà attingere per una vera svolta. Non sono comunista, sia chiaro, solo che il capitalismo senza regole ha fatto danni sesquipedali. Adesso gli ex ragazzi del G20 lo sanno, io lo avevo capito già allora».

A proposito, come è cambiata l’Italia dal G20 di Genova a oggi?
«È un’Italia meno impegnata e meno arrabbiata. Ora i giovani sono indignati, ma poco propositivi davanti ai problemi. A Genova finì in quel modo per questioni di ordine pubblico, la morte di Giuliani non fu cercata apposta seppure il ragazzo agitasse quell’estintore, ma furono scelte di ordine pubblico quella di concentrare tutto a Genova, di non fermare i “black block” alle frontiere, le cariche della Polizia e la volontà di cercare l’incidente al di là delle responsabilità personali. Ci furono vittime, alcune tra gli stessi condannati. E negli anni successivi l’u­ni­ca attività di dissenso politico è stata esercitata contro Ber­lusconi, per mancanza di una reale progettualità. O meglio, seguendo leader di potenziali populismi con il nove per cento di elettori, che esprimevano solo rabbia. Anche Beppe Grillo è partito dai gruppi di MeetUp, ma un conto è essere militanti e un altro elettori».

Il “green pass” provocherà una frattura sociale?

«Impariamo dalla pandemia giorno dopo giorno, sul cam­po. In Spagna, alle Baleari, la mascherina è tornata obbligatoria all’aperto. In Grecia, a Mykonos, è stato introdotto nuovamente il co­prifuoco. L’uni­ca arma reale che abbiamo, anche se imperfetta, è il vaccino. Ma se circa due milioni di over 60 non sono stati ancora vaccinati, se anche da adesso ne vaccinassimo centomila a settimana, finiremmo a dicembre. Oggi ci sono ancora poche ospedalizzazioni, ma la scienza ha dimostrato di essere ignorante in tema di pandemia e se le varianti do­vessero portare i contagi a 300mila al giorno, forse il “green pass” si rivelerà utile ad evitare che si arrivi a una situazione ingovernabile tra ottobre e novembre. Se ben calibrato, con queste premesse, il “certificato verde” può essere accettato di buon grado dai cittadini».

Tra le riforme da fare, quella della giustizia a che punto è?
«Ammesso che non si scateni la battaglia politica tra movimenti per il consenso, la domanda da farsi è: così come è proposta, la riforma servirà davvero a ridurre i tempi del 25 per cento e i due anni che occorrono per un appello? Sappiamo che ci sono grossi distretti come quello di Na­poli dove, per carenza di personale e mezzi, la riforma non sarebbe in grado di cambiare le cose. E l’unica conseguenza sarebbe rappresentata da decine di migliaia di processi in fumo. Per avere nuovi magistrati servono tre anni, tra concorsi e tirocinio. Allora bisogna almeno ridurre il numero dei processi. In Ger­mania ci sono 24 giudici ogni 100mila abitanti, noi ne ab­biamo la metà. Dovremmo fare anche noi come all’estero: se vai in appello, rischi che la pena poi sia aumentata, come accade in Inghilterra e per certi versi in Francia. Altra cosa sarebbe aumentare, co­me detto, il numero dei magistrati, magari richiamando quelli dei ministeri, circa 300. E poi stabilire che per i reati meno gravi ci sia un unico giudice monocratico e non tre. Sempre in Germania se il tuo processo dura troppo, hai di­ritto allo sconto di pena. Do­vremmo insomma guardare all’estero per riformare efficacemente la giustizia, smettendola di pensare che siamo la culla del diritto».

Per concludere: conosce le Langhe?

«Non quanto meritano. E per questo mi riprometto di venire a visitarle per bene in autunno».