Lo chiamo mentre sta cucinando la carbonara per i tre figli di ritorno dal mare. Lui, invece, è da poco rientrato da Imperia, dove è andato in scena con uno dei tre spettacoli che sta portando in giro da un po’, in piena rimonta dopo la pausa forzata. È proprio simpatico Marco Morandi, figlio di Gianni e di Laura Efrikian, che si racconta senza mettermi fretta, mentre i ragazzi reclamano la cena. Ama il giallo ocra e il fiore di agapanto, il profumo di zagara e il continente africano dove la mamma è promotrice di progetti di sostegno per le popolazioni locali ma «poco ci manca che scavi i pozzi da sola».
Vive in campagna, alle porte di Roma, con la moglie Sabrina e tre figli maschi adolescenti, circondato da cani, gatti, alberi e fiori.
Una situazione felice, mi pare di capire, dove anche la reclusione sarà stata accettabile…
«Infatti. Mi sono scoperto giardiniere, falegname, imbianchino. Ho fatto tutti quei lavoretti che rimandavo da tempo. Amo la casa, mi divertono i lavori manuali. Passando tanto tempo fuori per le tournée, il piacere di stare a casa è normale».
Visto che cucina, qual è il suo piatto preferito?
«In verità non cucino molto, me la cavo con una carbonara. Ma se dovessi scegliere un alimento di cui non potrei fare a meno è il pane».
Prima di parlare dei suoi spettacoli mi dica al volo come sta suo padre e se non si ritrova anche lei a cantare sotto la doccia “L’allegria”, la canzone in duo con Jovanotti.
«Mio padre sta molto meglio e come vedete ha già ripreso a lavorare. “L’allegria”? Sì, mi capita eccome. Un brano divertente, una spinta per ripartire, adatta in questo momento».
E veniamo a “Chiamatemi Mimì”, il tributo appassionato a Mia Martini messo in scena insieme a Claudia Campagnola su un testo di Paolo Logli…
«L’idea arriva dall’autore e da Claudia che cercavano una cantante. Io mi sono detto che forse poteva essere un’idea vincente fare interpretare le canzoni di Mia Martini da un uomo e mi sono lanciato».
Però non dev’essere stato semplice riadattare le canzoni a una voce maschile.
«Ho lavorato molto con il pianoforte, cercando di rimodularle e adattarle alle mie corde, anche se i miei strumenti sono innanzitutto il violino e la chitarra. In scena il pianoforte lo suono per accompagnare alcune canzoni, “Minuetto”, “E non finisce mica il cielo”, “Gli uomini non cambiano”».
Difficile anche restituire il temperamento di un’artista così.
«Certo. Io ho immaginato di cantare le sue canzoni vivendo e sentendo ogni nota, ogni sillaba, le passioni estreme che esprimeva attraverso la voce. Ma ho cercato anche i suoi lati più lievi, meno tormentati. Il suo spirito hippie, la vita di strada negli anni settanta con Loredana e Renato Zero. La sua risata, si racconta, si sentiva a distanza».
È vero che Olivia, la sorella più giovane di Mia, che ha visto lo spettacolo, ha detto che i testi, estrapolati dall’interpretazione originale e resi da una voce maschile, sono arrivati più chiari e diretti?
«È vero e in realtà l’hanno detto in tanti. Probabilmente è perché grazie alla sua interpretazione così potente, alla forza della sua voce, i testi passavano in secondo piano».
“Fate quel che volete: tagliatemi a pezzi”. Lo spettacolo comincia con una provocazione.
«Infatti. È come se dicesse “di male me ne avete già fatto, non abbiate paura: sono qui apposta”. Noi raccontiamo le diverse fasi della sua vita: la bambina, l’artista, la donna. Le prime esperienze discografiche, le tormentate relazioni sentimentali. Fino al momento peggiore che l’ha vista vittima di ingiustizie e maldicenze».
Anche il Festival di Sanremo non si è chiuso in bellezza per lei. L’ultima volta, in duetto con Loredana Bertè, è finito in fondo alla classifica. Ma a proposito di Sanremo, parliamo del suo, anzi delle sue due prime partecipazioni.
«La prima volta, nel ’97, fu a Sanremo Giovani col gruppo fondato con i compagni di scuola, i Percentonetto e sembravamo liceali in gita scolastica. L’anno successivo invece partecipammo al Festival vero e proprio con il brano “Come il sole”. Un periodo spensierato durato tre o quattro anni, poi le strade si sono separate».
Nello spettacolo per il teatro “Nel nome del padre-storia di un figlio di”, che ha debuttato quasi dieci anni fa e continua a girare, racconta le gioie e i dolori di figlio d’arte. Un breve “spoiler” per chi ancora non l’ha visto?
«È uno spettacolo scritto insieme ad Augusto e Toni Fornari in cui racconto appunto le due facce della medaglia. Da una parte i pregiudizi di una critica aprioristica che mi confronta, ingiustamente, con Gianni Morandi, dall’altra l’affetto incondizionato di chi mi vuole bene a prescindere».
Forse nel mezzo c’è chi sa che ha studiato anni di violino, che ha una formazione classica, e magari anche che sua madre l’addormentava leggendo Amleto.
«Racconto anche quello infatti. Nello spettacolo recito persino un brano di Amleto, ovviamente scherzandoci su».
E tra un aneddoto e l’altro fa irruzione suo padre, versione d’antan molto più spinta di quanto non sia in realtà.
«Interviene in video a “disturbare”. Ci siamo divertiti a invertire i ruoli rispetto al duetto “Sei forte papà” che, nella versione originale, era con mia sorella. Qui, invece, è lui, con i capelli bianchi, che chiede suggerimenti a me».
A suo papà deve anche il suo amore per Rino Gaetano. Com’è cominciato?
«Io conoscevo le sue canzoni più note, “Gianna”, “Il cielo è sempre più blu”, poi un giorno mio padre arrivò a casa con una raccolta, io la ascoltai e mi dissi “fermo tutto”».
Fino a “Serata per Rino”: di nuovo canzoni e testi, di nuovo la collaborazione con Toni Fornari, di nuovo insieme a Claudia Campagnola.
«Nei panni di un’amica che lo racconta. Con Toni abbiamo creato uno spettacolo intimo e adatto al teatro che ci sta dando molte soddisfazioni. E che è arrivato dopo una rodata collaborazione con i musicisti della band di Rino, con cui ormai ci siamo fusi. Il mio album del 2002 si intitola “Io nuoto a farfalla”, come una sua canzone inedita, che mi è stato permesso incidere».
“Cerco in tutte le canzoni/E in un passero sul ramo/Uno spunto per la rivoluzione”. È un verso di “Cerco”. Oggi dove si trova lo spunto per una rivoluzione? Fin troppo facile o difficilissimo?
«A parte che “Cerco” è anche la mia canzone preferita, oggi la nostra rivoluzione è resistere, non arrendersi, non subire un sistema che ci schiaccia».
A cura di Alessandra Bernocco