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«Vige l’incertezza ma il “green pass” è un’opportunità»

«Da mesi diciamo che serve aumentare le vaccinazioni e limitare i contatti» Il ricercatore Pregliasco commenta le recenti misure anti Covid

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Mentre il presidente del Con­siglio Mario Dra­­­­ghi annunciava l’utilizzo come passepartout del “green pass” per man­tenere le possibilità di ac­cesso ai luoghi pubblici e presentava i nuovi criteri per i cambi di colore delle regioni, a Torino qualche migliaio di persone si ritrovava in piazza Castello per esprimere dissenso contro questi provvedimenti. Sono due fotografie de­­­gli ultimi giorni che raccontano, in realtà, la spaccatura di un Paese che, dopo un an­no e mezzo, si ritrova ancora in balia di dubbi, incertezze e rabbia, diviso tra il buon senso e la stanchezza per una situazione che sembra sfuggire al nostro controllo non appena la china sembra superata. La rapidità con cui i vaccini sono stati sviluppati ha il gusto del miracolo eppure, sulle curve e gli andamenti del virus, sono gli stessi virologi ad ammettere quanto si navighi a vista, un giorno dopo l’altro, osservando al più ciò che succede ai nostri vicini di casa in giro per l’Europa.

Parte da questa riflessione la chiacchierata con il dottor Fabrizio Pre­gliasco, direttore dell’Isti­tu­to di Ricovero e Cu­ra a Ca­rattere Scientifico Ga­leazzi di Milano e scienziato di grande esperienza, da mesi impegnato anche nella divulgazione tramite i mass media per provare a dipanare la coltre di incertezza che avvolge ciascuno di noi.
Dottor Pregliasco, in questi giorni oscilliamo tra l’idea che il peggio sia finalmente alle spalle e la paura di un ritorno al passato. Che film stiamo guardando?
«Fondamentalmente ne stiamo guardando due: da un lato, il nostro presente italiano, tutto sommato ancora sotto controllo e con dei nu­meri relativamente poco preoccupanti; se cambiamo canale, però, c’è il nostro futuro. Penso ai dati che si stanno registrando in altri Paesi co­me l’Inghilterra o il Por­to­gallo, dove il virus ha rialzato prepotentemente la te­sta e minaccia di fare ancora grossi dan­ni. Oggi dobbiamo confrontarci soprattutto con la va­riante “Delta”, che ci deve spingere a ripensare la tabella di marcia, vista la sua capacità di colpire in particolare i giovani».

Andiamo dritti verso nuove chiusure?
«Dovremo riuscire a gestire la situazione, ma siamo solo al­l’inizio della rampa di crescita. In linea generale, dobbiamo essere pronti agli scenari peggiori e, probabilmente, vedremo delle zone ros­se limitate a singoli territori: per il momento, pos­so dire che c’è grande incertezza».

Il Governo sembra deciso nel seguire la linea francese, basata sull’utilizzo del “green pass”. Le sembra un percorso in grado di funzionare?
«L’idea di consentire l’accesso a tutta una serie di luoghi pubblici tramite il “foglio verde” è sicuramente un’opportunità per spingere i più dubbiosi a vaccinarsi, imponendo loro delle forti limitazioni. Detto questo, stiamo parlando di una scelta politica: quello che noi scienziati mettiamo in luce da mesi è che bisogna limitare i contatti, in un modo o nell’altro, e correre a vaccinarsi. Ma non esiste nessun manuale universale per controllare questa situazione e le risposte possono essere tante».

Proprio sui vaccini ci sono stati, però, molti errori comunicativi che han­no gettato nell’incertezza una parte di italiani.

«Si è fatto il possibile in un contesto che è diventato un’epopea. Certo, ci sono sta­te difficoltà nella comunicazione; ma credo che in democrazia questo sia normale, anche se l’eccesso infodemico ha fatto sì che ci siano diversi “ni-vax”, gente magari preparata che però si è fatta spaventare dal dibattito».

Qual è stato secondo lei l’errore principale?

«La comunicazione televisiva, in alcuni casi, ha creato confusione perché ha fatto vedere che la scienza procede per tentativi e non è certa, cosa assolutamente normale e scontata in un convegno scientifico. In un talk, dove il cittadino si aspetta una maggiore capacità reattiva, le reazioni sono ovviamente altre».

La porto da un’epopea a un’altra. Siamo pronti a riaprire le scuole?

«La questione è difficile da un punto di vista logistico perché il mondo scuola, tra dipendenti, ragazzi e famiglie, tocca quasi tutti noi. Non vedrei male l’obbligatorietà del vaccino per il personale, in modo da garantire la continuità scolastica. So­prattutto, questa può essere una buona opportunità per vaccinare i giovani».

Chiudiamo facendo un salto in­dietro. Quando ha capito che questo virus avrebbe sconvolto il mondo?

«A febbraio 2020 ritenevo ancora, tutto sommato, che la situazione sarebbe stata gestibile. Pensavamo tra colleghi che ce l’avremmo fatta in maniera agevole, basandoci soprattutto sul fatto che già in passato erano arrivati molti falsi allarmi poi conclusi in un nulla di fatto. Subito dopo è arrivata la doccia fredda».