Home Articoli Rivista Idea «Ammiro la tenacia del popolo afghano»

«Ammiro la tenacia del popolo afghano»

Valentina Burzio, pediatra di Medici Senza Frontiere, racconta come l’organizzazione opera nel paese mediorientale

0
337

Ci sono tanti modi per dimostrare la propria vicinanza a una popolazione che soffre, ma è difficile immaginarne uno più grande di chi si spende in prima persona al loro fianco, mettendo le proprie capacità al servizio della causa. Come sta facendo ormai da anni Valentina Burzio, medico pediatra, originaria della provincia di Cuneo, impegnata nei progetti di Medici Senza Frontiere, l’Ong che grazie a oltre 65.000 operatori umanitari in tutto il mondo, fornisce sostegno e cure mediche di emergenza in 88 paesi. Proprio per l’organizzazione internazionale, che festeggia quest’anno i suoi primi 50 anni di attività, la dottoressa Burzio ha lavorato di recente in Afghanistan.
Dell’impegno in prima linea di Msf e degli ultimi sviluppi che stanno caratterizzando il Paese del Medio Oriente la dottoressa Burzio ha parlato con la Rivista IDEA.

Dottoressa Burzio, quando ha iniziato a lavorare con Medici senza frontiere?
«Ho iniziato a lavorare per Medici Senza Frontiere dal 2016, anno della mia prima missione in Pakistan. Nel 2017 sono partita per lo Yemen, nel 2019 per la Nigeria e l’ultimo progetto che ho avuto l’onore di seguire è stato quello di Herat, in Afghanistan, da febbraio a fine maggio di quest’anno».

Come è finita a operare in Afghanistan?
«Come qualsiasi operatore, sono stata chiamata a dare il mio aiuto nei contesti in cui c’è più bisogno. Ad Herat Medici Senza Frontiere sostiene questo reparto pediatrico per bambini affetti da malnutrizione e così ho dato il mio contributo in questo progetto».

Parlando di Afghanistan, ci si occupa spesso di preoccupazione per la condizione delle donne. I bambini, invece, come vivono?
«Purtroppo la pandemia Co­vid ha esacerbato ancora di più il divario tra le cure mediche per l’adulto e quello in pediatria. Già era molto vivo questo problema ma con la pandemia è peggiorato. Msf si è trovato nell’ospedale a sostenere cure pediatriche nel reparto di malnutriti primari, anche quelli affetti da malnutrizione secondaria come cardiopatie, encefalopatie e tubercolosi. Questo perché spesso al di fuori queste cure vengono neglette e dimenticate, e i bambini sono i primi a patirne. La malnutrizione in Afghanistan, purtroppo, esiste ancora e tra i vari motivi ci possono essere l’accesso al cibo, la mancanza di mezzi per raggiungere le risorse.

In che modo il contesto difficile che ha vissuto in prima persona nel paese, e che continua a essere critico, si ripercuote sui bisogni della popolazione?
«Dal punto di vista medico pediatrico, la malnutrizione minorile è un fenomeno che preoccupa. A Herat, nel centro nutrizionale dell’ospedale locale dove è impegnata Medici Senza Frontiere, dal 16 al 22 agosto sono stati accolti 64 bambini malnutriti: è un picco del +36% rispetto alla settimana precedente. La pediatria è affetta da mortalità molto alta, perché arrivando tardi in ospedale ricevevano cure tardive. Per paura degli attacchi la gente che viveva in aree montane, non si spostava fino alla condizione estrema e arrivando tardi le cure immediate non possono venire somministrate in tempo, anzi talvolta arrivano quasi in fin di vita. I bambini non vengono negletti ma le mamme lavorando nei campi, non possono ricevere attenzioni così come in altre latitudini del mondo».

Come medico riesce a separare l’aspetto professionale da quello umano?
«Msf non è mai una organizzazione che fornisce solamente cure mediche alla popolazione. In ogni progetto vissuto ci sono carichi emotivi e di esperienze che vanno ben oltre la cura medica del bambino».

C’è una vicenda che l’ha colpita più di tutte?
«La cosa che mi ha toccata di più è la storia di una donna giunta in ospedale con la bambina affetta da meningite tubercolare che si è aggravata con lesioni cerebrali severe e dopo tre mesi purtroppo è mancata. La nonna però non ha mai perso la speranza, è stata accanto alla piccola cercando dare supporto anche alle altre mamme presenti in reparto. Ricordo che una sera, nonostante la nipote fosse in condizioni veramente difficili, ha aiutato una donna, che assisteva anch’essa la bambina, a partorire. Quello che mi ha colpito inoltre è la tenacia del popolo afghano a non mollare nonostante la condizione in cui vivono, a prodigarsi verso gli atri nonostante il buio subito mantengono viva la speranza. Uno degli aspetti più difficili è l’alto tasso della mortalità. Ogni volta è sempre un privilegio lavorare con Msf e avere l’onore di conoscere queste famiglie che vanno avanti nonostante tutto».