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«Basta reggaeton la musica d’estate è finalmente rock»

Dondoni: «Maneskin innovativi per i giovani, Rovazzi un flop»

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L’estate dei grandi successi sportivi e dei tormentoni musicali. Ab­bia­mo chiesto a un esperto come Luca Dondoni di fotografare i personaggi e i momenti che hanno caratterizzato queste vacanze particolari con la pandemia sullo sfondo.

Che cosa ci lascia l’estate musicale oltre all’eco dei tormentoni che hanno rilanciato i mostri sacri della musica italiana?
«Prima di tutto l’estate ha decretato la fine del reggaeton. Finalmente la gente ha capito che possono esserci altri suoni, si era stufata. Poi è vero che ha sancito pure il successo della formula del combo, molto usata, con il coinvolgimento di tanti artisti “paludati”, dalla Bertè alla Berti, dalla Vanoni a Mo­randi. Si è notato comunque un ritorno alla canzone, anche nel caso di interpreti più giovani come Mengoni con “Ma stasera”. Il suo successo premia la ricerca di altra musica, come nel caso dei Maneskin, l’onda lunga del Festival di Sanremo conquistato dal rock. Insomma, l’estate ha dimostrato che c’è vita oltre il rap, anche oltre la trap, che peraltro era già scomparsa da un po’».

E tra gli artisti, invece, chi si è eclissato?
«I numeri hanno dimostrato che questa volta Rovazzi può essere eletto come il grande sconfitto dell’estate. Ha sbagliato le gomme, per usare un gergo automobilistico».

Ma come spiega il grande successo dei big più anziani?
«Non dimentichiamo che in questo momento c’è un muro generazionale. Non esistono interpreti di valore tra i trenta-quarantenni. Guardate i presentatori: l’unico attivo sembra essere Alessandro Cattelan e infatti la Rai lo ha preso da Sky, dove ha avuto successo sì, però con un pubblico di nicchia. Addirittura, gli faranno condurre due puntate di una nuova trasmissione per farlo conoscere al grande pubblico. E lo spot con i due anziani che guardano il cantiere la dice lunga».

È la riscossa degli “over 50”?
«Così sembra: Mara Venier conduce “Domenica In”, funziona alla grande anche Mara Maionchi. Per il resto, mancano personaggi. Abbiamo visto passare tante troniste da Barbara D’Urso, personaggi svaniti come neve al sole. E così restano le solite Mar­cuzzi, Ventura e Perego. Poi, a volte, si creano evidenti forzature».

Per esempio?
«Nel pezzo di Colapesce e Dimartino, l’ironia imbarazzata della Vanoni nel finale sfiora l’eccesso quando fa lei la sexy, alla sua venerabile età. È un po’ il simbolo di quanto stiamo dicendo. Ci sono tante poche cose nuove in giro che non resta che riprendere ciò che è più datato. Ma non bisogna esagerare».

In fondo anche i Maneskin hanno sfondato proponendo un rock classico.
«Ma loro sono comunque in­novativi perché da quindici anni non ascoltavamo più rock. I nostri figli non san­no cosa sia. I Maneskin, a Sanremo, hanno dato uno schiaffo all’audience».

Quindi il rock piace anche ai più giovani?
«Parliamo di nicchie che un tem­po erano normalità. Oggi un ra­gazzino non ha gli strumenti tecnici. Non suona chitarre vere o batterie, fa tut­to con il telefonino. Ma c’è po­vertà tecnica ed espressiva. Io ascoltavo musica cercando lo stereo hi-fi mi­gliore, eravamo fan della musica ma anche dei mezzi per suonarla. Oggi ci sono solo le cuffiette o la cassettina Bluetooth, non vanno bene».

Lei ha previsto che l’Eu­rovision 2022 sarà assegnato a Torino: perché?
«Ho seguito le ultime quattro edizioni, ero a Tel Aviv per Mahmood. Si diceva già che se avesse vinto lui, l’edizione successiva sarebbe stata ospitata da Torino. Ci sono ragioni geopolitiche: città vicina alle capitali del Nord Europa, ha alberghi e un palazzetto bellissimo. Chi scrive di Roma candidata non conosce la materia. Cir­colava perfino il nome di San­remo: fa un po’ sorridere. Milano, invece, ha il peso organizzativo delle prossime Olimpiadi e, insomma, scommetterei su Torino».

In un “tweet” di giugno aveva previsto l’addio di Ronaldo alla Juventus: che fonti ha?
«Ho ragionato un po’ sulla vicenda, partendo dall’intervista che Piers Morgan aveva realizzato con Ronaldo in Inghilterra. Piers è il Pippo Baudo inglese e aveva lasciato intendere che il portoghese avesse voglia di tornare al Manchester United. Poi ho pensato anche che Ronaldo ragiona come un’azienda. Ha una catena di alberghi, una linea di profumi, una compagnia aerea… Ha bisogno di essere sempre mediaticamente in prima fila. La Juventus non avrebbe più potuto garantirgli questa visibilità. Ecco perché sapevo che avrebbe cambiato squadra».

È stata anche l’estate dei grandi addii. Di quale artista sente maggiormente la mancanza, da Battiato a Watts dei Rolling Stones?
«Direi di Franco, per una questione affettiva e perché tutti si erano dimenticati di lui. Quando è morto lo hanno celebrato come un Papa, ma era diventato praticamente un sacerdote. Purtroppo, succede spesso in Italia. Era stato così anche per Lucio Dalla».

Ipocrisia e superficialità?
«Sì, però poi mi ha colpito l’enfasi dedicata alla morte di Raffaella Carrà. Le volevo bene, sono cresciuto con lei, ma allora per Celentano e Mina ci saranno mesi di celebrazioni? Che poi Raffaella non avrebbe voluto nulla di tutto ciò, lo ha dimostrato con la bara che si è scelta, quattro assi di legno».

Per finire, il Covid cambierà la scena artistica e musicale?
«La sta già cambiando. Nel 2020 il Washington Post dedicò due pagine alla pandemia e agli effetti che avrebbe avuto sul mondo dello spettacolo. Era chiaro che sarebbe accaduto. E noi addetti sappiamo che questo settore sarà l’ultimo a tornare alla normalità dopo che sarà raggiunta la famosa immunità di gregge. Beyoncé continua a rimandare il suo tour e il nuovo album, lo stesso fanno altri grandi nomi. Non ripartono. Ci vorrà ancora tempo».