IL FATTO
Le polemiche legate al “green pass” sono più aspre sul terreno dell’istruzione: tutti gli insegnanti, per svolgere il loro lavoro, devono essere vaccinati
Al tradizionale Meeting di Comunione &Liberazione, classico appuntamento estivo (spesso foriero di polemiche) si è parlato ovviamente anche di coronavirus e di “green pass”, ovvero del lasciapassare legato alla vaccinazione che di fatto è stato imposto a tutti i docenti delle scuole di ogni ordine e grado.
Come ha detto senza mezzi termini il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, il punto a cui siamo arrivati non lascia più spazio all’autonomia di ogni singolo insegnante: «Abbiamo un set di regole chiare, che abbiamo ovviamente dato seguendo le indicazioni del Comitato Tecnico Scientifico», ha spiegato il Ministro con parole che suonano decisamente come molto rigide.
Ma se c’è un’emergenza legata alla pandemia, si agisce di conseguenza: «Le indicazioni dicono in maniera molto evidente che tutti coloro che hanno il “green pass” sono dentro la scuola e saranno presenti all’inizio dell’anno scolastico a settembre, invece coloro che non hanno ancora il “green pass”, come dice la norma attuale, ovviamente saranno sospesi», taglia corto il Ministro dell’Istruzione.
E di professori che non intendono adeguarsi alla misura della vaccinazione resa di fatto obbligatoria dal “green pass” ce ne sono. Rischiano pure di perdere il loro ruolo.
Si tratta magari di insegnanti anche tra i più validi, ma in questo contesto la competenza non conta, c’è in ballo soprattutto il diritto al lavoro delle persone, eppure il ministro Bianchi non ha dubbi. Il nemico da battere, il virus appunto, giustifica ogni contromisura.
Del resto, nel decreto emanato dal Governo lo scorso 6 agosto, si legge: «Il mancato rispetto delle disposizioni è considerato assenza ingiustificata e, a decorrere dal quinto giorno di assenza, il rapporto di lavoro è sospeso e non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato».
Se si guarda oltre il Covid, sono parole durissime. Ma è questo il terreno su cui si misurano le posizioni contrastanti di chi parte dal presupposto che siamo di fronte a un’epidemia senza precedenti e chi invece non legge i dati del contagio con la stessa sicurezza. La conseguenza è che, nel primo caso, si tende a giustificare la privazione di ogni diritto, in nome della salute pubblica, mentre nel secondo si vogliono salvaguardare i valori della convivenza democratica.
Chi fa questo ovviamente mette in dubbio la veridicità dei dati che circolano sul coronavirus. Insomma, non sembra un contrasto risolvibile.