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Farinetti “Never quiet” Storia di un visionario

L’imprenditore albese si racconta in un’ampia autobiografia: «È tutta colpa della scimmietta»

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Qualcuno potrebbe cadere nell’errore di pensare che il libro “Never Quiet”, edito da Rizzoli, rappresenti la prima fatica letteraria dell’infaticabile (gioco di parole voluto) Oscar Farinetti. Non è affatto così. Farinetti è un imprenditore che sforna e realizza progetti di successo, ma anche un narratore formidabile. Ba­sta scorrere l’elenco di alcuni suoi titoli: “Storie di coraggio” (2013), “Mangia con il pane” (2015), “Ricordiamoci il futuro” (2017), “Dialogo tra un cinico e un sognatore” (2019) scritto con Pier­giorgio Odifreddi, “Breve storia dei sentimenti umani” (2019) e “Serendipity” (2020). L’ultimo libro ha a che fare con la “scimmietta” raffigurata in copertina e che da sempre siede metaforicamente sulla sua spalla, rendendosi responsabile della sua frenetica e costante ricerca di nuove e mirabolanti imprese.
“Never Quiet” però è un’autobiografia. Per la prima volta, a 67 anni, Farinetti si ferma ad ammirare il cammino seguito fin qui. Ma la scimmietta lo spinge sempre verso orizzonti nuovi. Domani intanto parlerà del libro nell’ambito della rassegna “Cheese 2021”, a Bra. Il 23 settembre, invece, lo presenterà a Roma. “Mai tranquillo” è la traduzione del titolo, decisamente calzante. E l’autore gioca sull’invenzione della scimmietta: «È lei ad essere inquieta, io sono pigro e mi piace dormire fino alle 11. Lei parla di crescita, sfide e profitto mentre io rispondo con l’etica, la pazienza, la prudenza e la sostenibilità». In fondo è come ammettere che alcune convinzioni sono profonde, altre funzionali, ma il personaggio è da sempre vincente, ha idee sostanziose e visionarie. Che in parte ha saputo realizzare e in parte vorrebbe vedere realizzate. Come i consigli che Farinetti dispensa per la ripartenza del carrozzone Italia dopo il Covid: «Due cifre facili da ricordare: 100 più 100. Mi spiego: oggi in Italia arrivano 50 milioni di turisti stranieri all’anno, come a Manhattan. Sono oggettivamente pochi. Bisogna raddoppiarli. Stesso discorso per il cibo che esportiamo, siamo a circa 40 miliardi all’anno. Anche qui ne servono un centinaio. Nessuno come l’Italia ha una bellezza che si sviluppa tra cibo, arte, cultura, paesaggi, moda, automobili. Ma serve il meglio della politica, dell’imprenditoria, del lavoro, della cultura e dei media».
Perché non ascoltarlo? Il problema è che in primis la politica non ha certamente il suo passo. Farinetti però confessa la debolezza per Matteo Renzi, a cui però ha detto alla proposta di affiancarlo. Lo ha svelato al Corriere della Sera nell’intervista di Aldo Cazzullo: «Entrato a Palazzo Chigi, Renzi mi spiegò che aveva bisogno degli amici per governare il Paese. Ma io faccio politica con il mio mestiere di imprenditore nel mondo». Non è una scusa. In qualche modo è così. Recentemente il fondatore di Eataly ha sottolineato l’importanza del gioco di squadra per la valorizzazione dei prodotti piemontesi e dei vini in particolare. «Entro cinque anni le Langhe diventeranno un marchio. Per sapere di che vino si tratta bisognerà leggere il resto dell’etichetta, ma il simbolo che ci farà conoscere in tutto il mondo sarà quello. Abbiamo bisogno di un prodotto che ci dia riconoscibilità in ogni angolo del pianeta». Parole da politico illuminato. Mentre l’amico Renzi avrebbe fatto meglio a sparire dopo la vittoria del “no” al referendum: «Sarebbe stato richiamato e portato in trionfo, invece ha continuato a sbagliare: da ultimo creando il suo partitino invece che restare nel Pd. Ma è stato uno dei migliori premier che l’Italia abbia avuto. Non rinnego l’amicizia». Nata davanti a un piatto di carne cruda servito a Eataly, nel 2009.
Sempre a proposito di incursioni politiche, Farinetti ha espresso la sua contrarietà al reddito di cittadinanza e ha sottolineato come in Italia non si trovino dipendenti. Certo, è vero che andrebbero pagati di più: «Sono d’accordo, salario minimo a 1500 netti, ma lo Stato tassa troppo il lavoro. Dovremmo allora mantenere un sussidio per i veri poveri, e con gli altri soldi del reddito di cittadinanza abbattere il cuneo fiscale».
Tornando alla strada percorsa, il libro dedica anche un pensiero profondo alla moglie Graziella: «Senza di lei non avrei fatto niente. Aveva 19 anni e vendeva latte alla Fiera del Tartufo di Alba. Passai davanti al suo stand cantando “Bevete più latte, il latte fa bene…”. Ci sposammo quasi subito e passammo la prima notte di nozze in tenda, sotto il Monte Rosa». E poi c’è il ricordo del padre, eroe partigiano: «Ogni volta che camminavo con lui per strada, qualcuno lo fermava per ringraziarlo. Erano i parenti dei condannati a morte che aveva liberato, durante la Resistenza. Si era vestito da contadino ed era arrivato davanti al carcere con un pacco troppo grande per passare dalla porta. Così si fece aprire, poi puntò la rivoltella alla tempia del secondino, fece entrare due compagni e a mitra spianato liberarono diciassette prigionieri. Poi fuggirono a piedi evitando i colpi dei fascisti che sparavano dalle finestre». Vale veramente la pena di guardare indietro, ogni tanto.