Francesco Cancellato rappresenta spesso una voce fuori dal coro nel panorama mediatico italiano, eppure i lettori da anni premiano la linea di quello che, stando alle classifiche, è stabilmente entrato nella top ten dei media online più consultati.
Da pochi mesi è direttore di Fanpage.it: come è stato fin qui il suo lavoro?
«Non è facile fare un bilancio perché la mia direzione è appena iniziata, ho assunto questo ruolo dall’estate. Diciamo però che siamo un giornale generalista e popolare, con un’impronta laica e un’indole che certamente è più progressista che conservatrice, però questo non significa che ne facciamo una questione elettorale. Ragioniamo sulle singole notizie e prendiamo posizione. Siamo un giornale online che fa i conti con l’accezione negativa del termine, ma abbiamo dimostrato la nostra identità».
Seguite tematiche che vi stanno più a cuore?
«Ci sono battaglie storiche che abbiamo fatto nostre. Una è sicuramente quella per rendere l’eutanasia legale. Ma abbiamo già dato il nostro contributo per la legalizzazione delle droghe leggere, ci siamo impegnati molto sul tema dello “ius soli” e, più in generale, siamo stati sostenitori della legge contro l’omofobia. Spesso, insomma, abbiamo preso possesso di battaglie magari dimenticate dalla sinistra ma che in realtà sono di tutti, non conta il colore politico».
Che cosa vi caratterizza rispetto alla concorrenza?
«Puntiamo sulle inchieste. È ormai la nostra cifra identitaria. Una di queste l’ho ricevuta in eredità dal precedente direttore Francesco Piccinini, quella che ha permesso di accendere la spia dell’allarme su Claudio Durigon, personaggio inadatto al suo ruolo governativo. Penso poi: tutta la filiera, anche qui centrando l’attenzione su una questione molto importante in Italia, sull’inquinamento in generale. A questo proposito abbiamo messo nel mirino alcune aziende che hanno reso Cremona la città più inquinata d’Italia. Lo dobbiamo alla bravura e al coraggio dei nostri giornalisti, basta dire che abbiamo meritato il primo posto, ma anche il secondo, il quarto e il settimo all’ultimo Premio Vergani che in Lombardia è molto prestigioso, con i nostri video di denuncia».
Vi sentite di far parte del cosiddetto “mainstream” o ne prendete le distanze?
«La gente deve capire che cosa significa “mainstream”. Noi siamo un giornale che non fa del complottismo la sua bandiera, non è alternativo, non cerca altre narrazioni su Covid e “green pass”, o sull’immigrazione. Cerchiamo invece di smascherare le notizie false o le sparate. Questo non ci rende simpatici per coloro che vedono complotti e considerano i giornali come burattini. Però non siamo “mainstream” per più di un motivo. Perché siamo tra i pochi ad avere un editore puro, perché andiamo online con contenuti propri e non ripresi e ribattuti da altre piattaforme. Inoltre, perché offriamo un prodotto gratuito e, nonostante questo, il bilancio è in attivo. Meno “mainstream” di così… Un’altra cosa: non siamo elitari, non proponiamo idee al di sopra dei nostri lettori. E non pretendiamo di indottrinarli se non la pensano come noi. Non accarezziamo il pelo di chi legge, non siamo un giornale di partito. La nostra è una zona grigia dove si può cambiare idea, per questo offriamo strumenti giusti, oggettivi per quanto possibile. Senza inseguire solo chi la pensa come noi».
Che cosa fate, allora, per catturare l’attenzione dei lettori?
«Studiamo, ci documentiamo, facciamo anche errori ma leggiamo tanto. Tutto per non scrivere castronerie. Senza partire da una posizione precostituita o temendo che cosa dirà il lettore e quale spazio editoriale andremo a occupare. In tanti casi siamo stato anche cattivi profeti, ma non assecondiamo la voglia di dire “il Covid non c’è più”, perché finché ci sono ancora decine di morti al giorno non è finita. E se non si fa attenzione alla campagna vaccinale, con l’epidemia ancora a regime, si rischia di far sviluppare le varianti resistenti al vaccino stesso, il virus circola e riscrive il suo Rna. Se lisciassimo il pelo ai lettori saremmo in malafede, bisogna anche saper dire a chi legge: occhio che il peggio deve ancora venire».
A proposito, Grasso contro Barbero è stata l’ultima polemica raccontata dai media attorno all’argomento “green pass”. Voi non cadete nella tentazione di partecipare al gioco?
«Quella polemica in realtà la reputo interessante, non la schifo, ma noto opinioni nette e quando un’opinione è netta bisogna avere il coraggio di esprimerla con argomentazioni all’altezza. Il tema non è avere un’opinione netta, ma argomenti validi. In questo caso, per esempio, non ho visto in Barbero argomentazioni capaci di convincermi. Nutro anch’io perplessità sul “green pass”, il mio cuore libertario sanguina per le limitazioni dei diritti, però c’è un’emergenza. So bene che certe decisioni rischiano di restare effettive anche dopo, sotto forma di legge. Condivido le preoccupazioni di Barbero ma non gli argomenti, men che meno l’attacco di Grasso».
E Cacciari? Ha espresso un parere contrario al “pensiero dominante” ed è stato attaccato violentemente. Cosa ne pensa?
«Non credo che in Italia ci sia un pensiero unico, l’opinione pubblica è molto eterogenea e i media altrettanto. Non direi che Mediaset possa essere accusata di acquiescenza nei confronti del Governo Conte, poi sono andati tutti su Draghi. Stessa cosa per Il Fatto Quotidiano ora critico con il Governo. Cacciari, come Agamben, ha avuto giustamente spazio in tutti i talk show. Le opinioni sono più o meno condivise ed è un segno di maturità. Prima parlavano solo i virologi, ora sappiamo che ci sono anche virologi non all’altezza. Chi più sa, ha più dubbi. Quando si è tetragoni si impara poco».
La scuola è ripartita, come vede la situazione?
«Condivido l’approccio alla didattica in presenza anche se non sono contrario alla Dad. Certo, lo dico avendo il privilegio di mezzi adeguati per i miei figli. Il gap digitale però esisteva già. Sono contento che tutte le cattedre siano occupate e i nuovi protocolli mi sembrano sensati. Sono ottimista».