Storia di Jean-Paul dalla valle Stura a mito del cinema

Le origini cuneesi comuni a quelle della campionessa di sci Stefania e una carriera fuori dai canoni. Il ricordo di un personaggio inimitabile

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Era nato in Francia, nel 1933, ma le sue origini rimandano evidentemente all’Italia: il papà scultore era a sua volta fi­glio di un piemontese e di una siciliana che dalle campagne confinanti con la Provenza erano emigrati alla fine dell’Ottocento nell’Algeria francese dell’epoca. Jean-Paul Belmondo, il divo del cinema degli anni ’60 morto due settimane fa all’età di 88 anni, ha sempre intimamente coltivato questo suo ancestrale legame con l’Italia, partecipando anche a numerosi film diretti da registi del nostro Paese. È già stato verificato come la sua famiglia arrivasse dal Cuneese. La stessa Ste­fania Belmondo, la campionessa di sci nata a Vinadio e omonima dell’attore, aveva infatti dichiarato: «È possibile che ci sia una pa­rentela, anche se alla lontana. Ho sentito dire che i parenti di Jean-Paul arrivavano da Castello che è una piccola frazione di Pietr­a­por­zio», dove la stessa olimpionica abita. Notizia confermata anche da Arnaldo Belmondo, 79 anni, ex dirigente Fiat e, abbiamo ap­preso, cugino della celebrità francese. E da giovane il famoso pa­rente transalpino aveva fatto visita in paese portando regali e simpatia. Origini che accomunano l’attore a Dominique Bo­schero, occitana, ex modella che recitò con lui in “Mare matto” e che vive ancora a Frassino.
Dalla Valle Stura al mondo magico del cinema negli anni d’oro, quando un personaggio così iconico, dall’andatura dinoccolata e lo sguardo ammiccante, poteva permettersi di ignorare le proposte sontuose in arrivo da Holly­wood, restando profondamente ancorato al suo mondo, costruito su abitudini irrinunciabili, gesti inimitabili, su una vita tanto originale da risultare unica.
Jean-Paul non è stato certamente un interprete banale. A cominciare dalla sua fisionomia da ex pugile (come in effetti era stato), il naso schiacciato e l’attitudine alla sfida. Prima ha guidato la Nouvelle Vague e poi si è distinto in tante indimenticabili sequenze d’azione tra gli anni ’70 e ’80. Un antieroe, sospeso tra la provocazione e la seduzione, fie­ramente lontano dagli stereotipi dell’altro cinema, quello appunto hollywoodiano.
Jean-Luc Godard lo aveva scelto per “Fino all’ultimo respiro” lanciandolo di fatto nell’olimpo del cinema francese; l’amico-nemico Alain Delon lo avrebbe affiancato in seguito in diverse occasioni, senza mai smarcarsi da una di­versità evidente tra i due, quasi un’idiosincrasia insanabile.
L’esordio nel cinema fu subito clamoroso, con grande successo di pubblico e addirittura la copertina prestigiosa e inaspettata di Life. E poi un’escalation irrefrenabile, passando anche da significativi e puntuali sconfinamenti in Italia, la sua seconda casa, a partire da “La ciociara”, capola­vo­ro diretto da Vittorio De Sica con la mitica Sophia Loren. Se­guirà una produzione incessante, sempre all’insegna del suo carisma inimitabile, un mix di grinta e leggerezza. Italia per lui ha significato anche amore o, co­munque, storie da ricordare. Per esempio, quella con Laura An­tonelli, conosciuta dopo l’altra bellezza di quegli anni, la bionda svedese Ursula Andress. E sul set tante scene al fianco di attrici co­me Claudia Cardinale o Gina Lollobrigida. Ma non si atteggiò mai a personaggio/divo. E in carriera non fu mai premiato con riconoscimenti prestigiosi, forse proprio perché non rientrava nei canoni prestabiliti. Solo nel 2016 ha ritirato a Venezia un Leone d’Oro alla Carriera tornando a mostrarsi in pubblico, senza però concedere nulla al gossip. Del resto, era rimasta famosa anni prima un’intervista in cui aveva parlato solo dei film di scarso livello che aveva interpretato e del declino che aveva conosciuto.
Ma quando Jp se n’è andato, uno dei più addolorati è stato proprio lui, il “rivale” Delon.