Al centro c’è Lucia Bosè. Tra gli anni ’50 e ’60 divenne famosa perché, da attrice già affermata, scelse di sposare il celebre torero Luis Miguel Dominguín e di se­guir­lo in Spagna. Sembrava una favola con tutti i più apprezzati ingredienti dell’epoca: le paillettes, le luci dei riflettori, i paparazzi, la bellezza scintillante di Lucia e il vigore evocativo di Luis Miguel. Ma oltre il set c’era la vita vera, che la ragazza scoperta da Luchino Visconti nella pasticceria milanese dove lavorava come commessa, ha saputo interpretare con la stessa intensità dei film. Senza mai tirarsi indietro.
«La sua è stata una vita pazzesca, nei momenti positivi e in quelli negativi. Così straordinaria da farle attraversare anche grandi dolori: la perdita di un fratello, le bombe sulla casa di Milano, la povertà e poi il successo, i figli, fino al dolore del divorzio. Una vita straordinaria in tutti i sensi, a 360 gradi». Laura Avalle ne è rimasta stregata, tanto da scriverne un libro. In realtà la passione per Lucia Bosè è una questione di famiglia. Davide Sordella, suo marito (regista nonché ex sindaco di Fos­sano), ha realizzato sull’attrice che quest’anno avrebbe compiuto 90 anni il documentario “Lucia Bosè-L’ul­timo ciak”, un lavoro inedito a firma di K. Kosoof (il sodalizio artistico tra lo stesso Sor­della e Pablo Benedetti) che è stato presentato sabato scorso al Museo Nazionale del Ci­nema, a Torino. Quello è stato il primo passo. O meglio, uno degli sviluppi possibili. «A una serata milanese sono stata contattata dai dirigenti di Morellini Editore, sapevano che Davide aveva intenzione di lavorare su un documentario inedito e mi hanno chiesto di scriverne un libro. Da un lato ne sono stata lusingata come giornalista, però, ho subito avvertito anche il peso della responsabilità. Prima di dire sì volevo capire, scavare, cercare. Met­tere su carta la vita straordinaria di Lucia Bosè è stata ovviamente una fortuna, non solo un peso. Me ne sono innamorata, ho conosciuto a fondo il personaggio grazie al prezioso e ricco materiale inedito utilizzato da Davide per il film. Molte sue dichiarazioni sono rimaste fuori. E ho capito che sì, ne sarebbe davvero valsa la pena. Perché il personaggio mi piaceva davvero tanto. Una donna indipendente, con un’idea di libertà affine al mio modo di pensare. A quel punto tutto si è rivelato più fluido». E il libro è diventato realtà. Laura Avalle è felice di leggere, giorno dopo giorno, recensioni confortanti: «Spe­ro di aver fatto un buon lavoro, vedo che i primi riscontri sono ottimi».
Lucia Bosè è morta nel 2020, ufficialmente per coronavirus. È stata una donna, dice la scrittrice Avalle, «fedele a se stessa, anticonformista, sen­za compromessi. Una donna semplice nonostante fosse sta­ta la musa di registi come Antonioni, Visconti o Zef­firelli, che frequentava intellettuali del calibro di Moravia e della Fallaci, che fu amica di Picasso. Ma non si atteggiò mai a diva. Non aveva paura di invecchiare: lo dice anche nel documentario. Non temeva le rughe, lei che era stata miss Italia nel 1947 (in giuria quello che sarebbe diventato il suo amante, Edoardo Vi­sconti, parente di Luchino, prima dell’attore Walter Chia­­ri, ndr). Era forte perché sapeva da dove veniva, aveva vissuto nella povertà. Però era una donna libera, lo era stata anche nella Spagna franchista dove aveva accettato di andare a vivere e dove le donne non potevano girare da sole ma sempre accompagnate da un familiare, non potevano guidare e neppure lavorare. Ma era stata la sua scelta, per amore».
In seguito avrebbe vissuto la rinascita del dopo Franco, mentre in Italia, che continuò ad amare, arrivava il terrorismo. Non è più tornata qui, perché troppo legata ai suoi figli.
Una lezione lasciata da Lucia? «Lei diceva: ogni mia giornata inizia con un sorriso. Così i momenti brutti si trasformano in energia positiva. Ogni mattina canto una canzone le cui parole dicono che, soldi o non soldi, posso avere ciò che voglio. La vita dipende da come la affronti».
Dal primo all’ultimo giorno: «Il suo ultimo film l’ha girato a 83 anni con scene faticose nel deserto del Cile. Disse che non rinnegava nulla, che era felice. Le difficoltà erano state bilanciate dai momenti sereni e alla fine ha creduto che la sua vita sia stata un dono».