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«Il teatro non deve temere le contaminazioni»

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«Come marito finto è mol­to simpatico». Tant’è che il matrimonio tra i due è durato un bel po’ di anni, riscuotendo un ottimo successo di pubblico. Gigi e Alice, alias Gerry Scotti e Maria Amelia Monti, sono state una delle coppie più amate del piccolo schermo, rocamboleschi protagonisti della sitcom “Finalmente soli”. Sono gli scherzetti della tv che ti può regalare un successo insperato quando alle spalle hai un “curriculum vitae” di per sé degno di un certo rispetto.

Maria Amelia, per esempio, aveva vent’anni di teatro cominciato con Ernesto Calindri, suo primo maestro all’Accademia dei Filodram­matici: insomma, cose serie, con leggerezza. Che è un po’ la linea su cui si muove tuttora, la “pièce bien faite” di cui (guarda un po’) il suo marito reale è stimatissimo autore. Edoardo Erba ha inventato per lei (ma non solo per lei) personaggi “cult” destinati a restare nella memoria, surreali, lievi, deliziosi archetipi di una nuova drammaturgia che varca i confini, tradotta e rappresentata in tutto il mondo.

Mi racconti di questo bel so­dalizio tra la vita e la scena?

«Ci capiamo molto. C’è fiducia e stima reciproca. Anche se cerchiamo di non lavorare sempre insieme. Ultimamen­te abbiamo esagerato».

Non sono d’accordo. Anzi, facciamo un veloce ripasso. “Margarita e il gallo”, “Mi­che­lina”, “Tante belle cose”: tre commedie di Erba che l’han­no vista protagonista e molto amate dal pubblico.
«“Margarita” ha unito generi di pubblico diversi, una commedia ambientata nel Cin­quecento che rispettava i “topos” tradizionali della commedia degli equivoci; “Michelina” invece è una commedia musicale un po’ spregiudicata in cui una mondina divenuta soubrette finisce per innamorarsi di un cardinale, e “Tante cose belle” racconta le manie di accumulazione di una donna che i vicini di casa non ce la fanno più a sopportare».

E in cosa consisterebbe l’esagerazione?

«Nel fatto che le tre commedie sono state messe in scena di seguito, nel giro di tre anni, dal 2007 al 2010, senza interruzione. Forse un po’ troppo».

Ma ormai ne sono passati dieci. Siete pronti per ricominciare?
«Eccoci. Edoardo durante il lockdown ha scritto una commedia che pur non parlando di lockdown, ironizza sui mezzi di comunicazione virtuale che hanno preso piede anche tra noi adulti. Noi che ci siamo sempre lamentati con i nostri figli e ora siamo come loro e non possiamo più lamentarci».

Ci può anticipare qualcosa di più?
«È una commedia sentimentale, comica e tragica allo stesso tempo, in cui due cinquantenni (io e Marina Mas­sironi) si fanno cinque videochiamate. Noi saremo sul palco in due postazioni di­verse, ma le nostre facce saranno proiettate su uno schermo. Sono convinta che il pubblico guarderà sempre lo schermo».

Sì, ma così il teatro dove andrà a finire?

«Io sono favorevole alla contaminazione. Non si può pensare che il teatro resti sempre fermo e immobile mentre il resto procede. Quello che caratterizza il teatro è l’unicità della rappresentazione: ecco, questa sì, non va persa».

In programma c’è la ripresa de “La parrucca” di Natalia Ginzburg, che debuttò prima della pandemia.
«Sì, nella seconda parte di stagione. La Ginzburg è la mia scrittrice preferita. Di suo ho già interpretato “La segretaria” e “Ti ho sposato per allegria”. Il suo è un teatro pieno di poesia, odori, piccole cose. “La parrucca”, collocato negli anni Settanta, è un monologo di venticinque minuti che segue “Un paese di mare”, come se fossero due atti unici che rinviano l’uno all’altro. Attraverso le due pièce infatti si assiste all’evoluzione di una coppia che vive in un tempo di transizione, in cui si cominciano a intuire i primi segni di cambiamento che porteranno agli anni Settanta, gli hippy, le persone che parlano di Freud».

Nel 2021 sono vent’anni dalla morte di Natalia Ginzburg: l’ha conosciuta?

«Aveva assistito alla prova generale de “La segretaria”, invitata da Marco Parodi, regista, che le aveva chiesto i diritti. Io avevo la lingua at­taccata al palato. Ma poi lei è venuta in camerino e ci siamo abbracciate. Mi sono commossa».

Ci regala un ricordo di Ernesto Calindri?

«La nostra scuola era proprio sopra Biffi e ogni volta che entrava gli proponevano un Cynar. E benché rispondesse sempre: “perché no?” non si ubriacava mai. Aveva 78 anni e un’energia incredibile. Saliva sul palco con le gambe a squadra e faceva le tre di notte con noi».

Ho una curiosità e riguarda il periodo della “Tv delle ragazze”. Cito a caso Cinzia Leone, A­les­sandra Casella, Sabina Guz­zanti, Francesca Reggiani e, ovviamente, Serena Dan­di­ni.
«Un periodo bellissimo di cui ho nostalgia. La televisione rischiava davvero, non andava sul sicuro. C’era creatività vera. I “talent scout” giravano per i teatri e le cantine. Il lavoro era valorizzato. Ma tanto adesso la tv la guardano in pochi. I miei figli, per esempio, non la guardano affatto».

Già, i suoi figli, due grandi, femmina e maschio, e uno adolescente, adottato. Com’è il vostro rapporto?

«Non sono mai stata una mamma convenzionale che li fa giocare ma mi diverto a giocare con loro, a fare cose insieme. Con Marianna abbiamo creato una linea di jeans e con Leonardo giriamo su Instagram gli sketch del lunedì, che divertono anche Robel, il piccolo, che però non vuole apparire. Alcuni sono diventati virali, come quello della spazzatura che gira su YouTube, insieme a Angela Finocchiaro».

Articolo a cura di Alessandra Bernocco

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