Mestiere antico quello della sarta, ma mai scomparso del tutto, anzi. E lei, Graziella Balbino, ne è la prova: da 37 anni, infatti, crea e non smette di appassionarsi al suo lavoro svolto con dedizione in Miroglio Fashion, ricoprendo oggi la mansione di sarta dell’atelier.
Il suo è un ruolo di particolare rilievo nella fase produttiva dei capi di moda. Per quanto le nuove tecnologie siano arrivate ad aiutare anche nell’attività sartoriale, la capacità di realizzazione manuale continua a mantenere un’importanza notevole, assolutamente centrale ed insostituibile.
«Con la collaborazione delle mie colleghe realizziamo il primo prototipo, seguiamo i capi più particolari, confezionando talvolta anche modelli utili per le vetrine dei negozi».
Graziella, sin da bambina ha sognato di diventare sarta?
«Quando si è piccoli si coltivano molte aspettative, si immagina un futuro che cambia con rapidità… Poi crescendo si devono affrontare le sfide professionali, a quel punto, mi sono istintivamente avvicinata a questo “mestiere”, prima per un’altra azienda e poi nel 1984 sono stata assunta dalla Miroglio, che considero la mia seconda grande famiglia. Fare la sarta significa per me esprimere la mia creatività, mettere a frutto la mia esperienza e non perdere mai la curiosità. Il sarto di fatto è un artigiano e questo è un valore che ritengo fondamentale e unico».
Quali le basi essenziali?
«È importante conoscere bene tutti i tipi di tessuti e filati, le regole del disegno tecnico e professionale, le tecniche di modellistica, di sviluppo taglie e trasformazioni, la tecnica della confezione, il ciclo di lavorazione… È bene, inoltre, essere costantemente aggiornati sulle tendenze di moda, sui materiali utilizzabili e sulle novità più recenti per quanto riguarda le tecniche di produzione. Sono attualmente responsabile di un team e con le mie colleghe non smettiamo mai di imparare…».
In virtù della sua lunga esperienza qual è stato il modello o la collezione più impegnativa dal punto di vista sartoriale?
«Ricordo l’impegno per le sfilate di Elena Mirò a Milano. In passerella venivano presentati capi “strutturati” che richiedevano una definizione personalizzata direttamente sulla silhouette delle modelle. In quei momenti ho accentuato doti che sono poi state utilissime per svolgere al meglio la mia professione. Essere in grado di lavorare in team; coltivare abilità organizzative e gestione del tempo e soprattutto essere attenta ai dettagli sono particolari che sono alla base di un po’ tutte le nostre collezioni dalla vestibilità più regolare a quella più morbida».
Lei sceglie anche i tessuti?
«No. Se ne occupano i miei colleghi. Nel mio reparto interveniamo nella fase della lavorazione, consigliando ad esempio l’orlo più idoneo, ma soprattutto siamo un riferimento per le fasi di lavorazione necessarie ad industrializzare il capo».
Com’è cambiata nel tempo la sua professione? Siamo nell’era della tecnologia: questo ha influenzato le fasi operative della sua mansione?
«Diciamo che l’avvento dello strumento creativo del 3D permette di disegnare al computer i modelli simulando il movimento dei vari tessuti nonché le linee di cucitura. Ovviamente però dalla teoria si passa alla messa in pratica di ciò che appare sullo schermo e allora entra in campo la nostra professionalità per ottimizzare la qualità del prodotto, da perseguire sempre, nel rispetto della mission di tutti i brand Miroglio Fashion nei confronti delle proprie clienti».
Ai giovani consiglierebbe di intraprendere questo “mestiere”?
«Sì, anche se i giovani che scelgono questa strada non sono molti. In verità, dico loro che quello della sarta, è una figura professionale ancora oggi molto ricercata. Per svolgere questa mansione servono molta pazienza, precisione, passione e versatilità. È intorno a tutti questi elementi che si sviluppa l’esperienza utile a svolgere al meglio questa professione. Perché se è vero che un orlo è pur sempre un orlo, rispetto a qualche decennio fa, bisogna saper usare anche macchinari all’avanguardia, cogliere le esigenze degli stilisti e dei clienti e avere la capacità di personalizzare gli abiti».
Oggi la sua mansione è il responsabile di atelier, ma c’è un momento lavorativo irrinunciabile?
«Certo. Lavorare a macchina. Mi piace plasmare modelli complicati, che rappresentano una sfida anche per me stessa… Adoro cucire e non mi spaventa mai mettere in discussione la mia preparazione, percorrendo anche strade inusuali. D’altronde sono un’appassionata di puzzle: unire i tasselli è un’arte così come creare e realizzare un abito!».