Carlo Ratti ha lo sguardo orientato al futuro: più precisamente, la sua attenzione è rivolta alle dinamiche di sviluppo delle città e a come queste possano interfacciarsi in maniera sostenibile, garantendo un’evoluzione dei nostri territori. Ratti, architetto e ingegnere di fama internazionale, ha fondato lo studio Cra (Carlo Ratti Associati), con sedi a Torino e New York, e dirige il Senseable City Lab presso il Mit di Boston, strutture all’avanguardia nello studio e nella progettazione urbana. Recentemente ospite del Comune di Cuneo nell’ambito della rassegna “in.onda.azione.sostenibile”, ha ripercorso per noi di IDEA le tappe principali della sua carriera e ha illustrato la sua “vision”.
Ratti, quali sono i passaggi decisivi che l’hanno portata fino al Mit di Boston?
«Ho iniziato i miei studi a Torino, poi li ho proseguiti in Francia e in Inghilterra. Dopo il Politecnico, sono infatti stato all’École des Ponts di Parigi; in seguito, ho studiato Architettura e Informatica all’Università di Cambridge, dove ho conseguito il dottorato. Un percorso insolito che mi ha portato a occuparmi di ingegneria, architettura, ma anche di altre discipline quali informatica e fisica, oltre che del legame con l’ambiente urbano. Dopo alcuni anni, i vari punti “sparsi” hanno finalmente cominciato a collegarsi, come avrebbe detto Steve Jobs: al Mit sarei dovuto restare solo nove mesi, ma sono ancora qui dopo quasi vent’anni!».
Quale evento le ha fatto comprendere che quella era la strada da seguire?
«Il mio arrivo al Mit nel 2004 è coinciso con un periodo in cui informatica e urbanistica iniziavano a offrire nuovi spunti di ricerca. All’epoca, le nuove tecnologie promettevano trasformazioni nella comunicazione, nei trasporti e nell’industria. Abbiamo cercato di immaginare come questi sviluppi potessero avere un impatto sugli studi urbani e come l’interazione senza precedenti tra digitale e fisico avrebbe potuto influenzare il modo in cui comprendiamo, progettiamo e, in definitiva, abitiamo le nostre città».
Di che cosa si occupa nello specifico?
«Usando un’espressione inglese potremmo dire che porto tre cappelli. Uno è quello del Senseable City Lab, il laboratorio di ricerca che dirigo al Mit; un altro è quello del Cra, lo studio di architettura e design che ha sede a Torino e New York; un terzo cappello riguarda il mondo delle startup. Sono sguardi rivolti verso la stessa realtà in trasformazione; sguardi, di cui parlavamo prima, che da angolazioni diverse guardano alla ricerca, al progetto e al prodotto finale».
A proposito di progetti, a cosa sta lavorando in questo preciso momento?
«Al Mit stiamo lavorando molto sull’uso dell’intelligenza artificiale per analizzare le “scheletrature” delle città. Con Cra, invece, ci stiamo cimentando su diverse scale di intervento e diversi ambiti. Abbiamo appena completato la realizzazione del Padiglione Italia per Expo Dubai, che sarà inaugurato nei prossimi giorni; inoltre, abbiamo presentato il “masterplan” vincitore del concorso per la riqualificazione dello Scalo di Porta Romana a Milano».
Quale approccio guida le sue attività?
«In generale, credo che oggi sia importante riportare la natura in città con modalità nuove, dopo le devastazioni del secolo passato».
Cosa significa, per lei, “città sostenibile”?
«Per definire una città “sostenibile” è necessario andare oltre la lettura meramente ambientale e includere anche gli aspetti socio-economici».
Su questo fronte, qual è la situazione in Italia?
«Il nostro Paese, da questo punto di vista, presenta casi “sostenibili” un po’ a macchia di leopardo, con aree di eccellenza che coesistono con altre realtà piuttosto in ritardo. Tra le prime metterei senza dubbio Milano, che sta indagando in maniera innovativa il tema di una doppia convergenza tra naturale e artificiale. Da un lato, il mondo digitale ci permette di far sì che il mondo da noi modellato, quello delle nostre città e dei nostri edifici per intenderci, si comporti sempre più come un organismo vivente. I nostri spazi diventano capaci di adattarsi in tempo reale alle condizioni circostanti. Dall’altro lato, le nuove tecnologie ci consentono di incorporare la natura delle nostre creazioni nelle città».
Di recente, è stato ospite di un incontro di approfondimento urbanistico promosso dal Comune di Cuneo. Quali possibilità di sviluppo vede per la città e, in quale misura, il Cuneese dovrà adattarsi ai cambiamenti futuri?
«Il torinese Carlo Mollino, tra i maggiori architetti del ’900, diceva che per essere autenticamente globali è necessario essere sinceramente locali. Per questo mi ha fatto molto piacere che con il nostro studio abbiamo potuto lavorare proprio a Cuneo, su due temi tanto essenziali quanto trasversali che crediamo dovranno essere al centro dell’agenda urbana nei prossimi anni: intergenerazionalità e agricoltura urbana. In altri termini, comunità miste tra giovani e anziani da un lato e i nuovi modi di vivere la città e la campagna dall’altro. Tutto questo all’interno di progetti di rigenerazione urbana, in cui si trasformano e migliorano aree già edificate scongiurando un altro grande pericolo, sempre più minaccioso: l’ulteriore consumo di suolo».