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«Il “modello Alba” è un paradigma da esportare»

Nell’intervista che ci ha concesso in esclusiva, Gioacchino Bonsignore, autore e conduttore della rubrica del Tg5 “Gusto”, esalta le potenzialità del settore agroalimentare italiano, ponendo l’accento sulle eccellenze enogastronomiche del Piemonte e, in particolare, su quelle di Langhe, Monferrato e Roero. «Servono però politiche nazionali per abbassare le tassee potenziare le infrastrutture»

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È il “reporter della ta­vola”: da anni Gioacchino Bonsi­gno­­­re entra nelle ca­se degli italiani con “Gu­sto”, la seguitissima rubrica del Tg5 dedicata al “food and wi­ne”, uno dei punti di rife­ri­mento dell’enogastronomia te­levisiva. Dà voce a un settore, spiega, che in Pie­mon­te trova un propulsore che trascina tutta Italia. Il mo­dello: Alba.

Bonsignore, che obiettivo si po­­­ne come giornalista?
«Informare è il nostro dovere e la nostra missione: è la co­stante, anche se, a seconda del­­­le fasi dell’attività professionale, capita di trattare argomenti diversi. Nel mio caso, ormai da molti anni, mi occupo di raccontare al pubblico la cosiddetta enogastronomia, che non è altro che un sistema, l’agroalimentare, molto complesso e tra i più importanti motori del Paese».

Qual è stata la più grande sod­­di­sfazione provata nel­l’am­bito della professione?
«È quotidiana. Si prova quando si fa bene il proprio lavoro: per me consiste nel dare ogni giorno voce alla piccola e me­dia impresa dell’agroalimentare, che si articola in tante di­mensioni e passaggi di una fi­liera che va dal contadino al grande chef stellato. Questa fi­liera costituisce una parte im­portante dell’economia italiana e informare milioni di cit­tadini su quanto viene fatto significa incrementare l’attività e il benessere complessivo della nostra nazione».

C’è stato anche qualche fran­gente di difficoltà?

«No. Nessuno».

La rubrica “Gusto” nel 2022 compie vent’anni: è nata ben prima che cuochi e programmi di cucina arrivassero a spo­­polare in televisione. Qua­­li sono i principali cambiamenti cui ha assistito nel tempo, in questo ambito?
«L’attenzione mediatica è cre­­sciuta in modo esponenziale e ha modificato profondamente il rapporto degli attori della filiera dell’enogastronomia con il sistema dei media e, quando sono entrati in gioco il digitale e i social, le cose sono diventate ancora più complicate. È un cambiamento epocale che ha investito tanti settori della vita quotidiana».

Come si colloca il mezzo televisivo in questo contesto?

«La televisione non è più l’attore principale della comunicazione, ma uno dei tanti: de­ve sapersi tarare rispetto al­l’offerta complessiva che non è più solo quella della tv generalista. È un elettrodomestico che oggi veicola i contenuti più svariati. I grandi player co­me Mediaset, e anche la Rai, si sono attrezzati per com­­­petere su tutte le piattaforme: c’è un’infinità di proposte oltre a quelle classiche di Rai 1 o Canale 5, da In­ter­net al digitale terrestre ai so­cial network».

Si parla spesso di “infotainment”, un connubio di informazione e intrattenimento: quanto è importante il divertimento del pubblico?
«Ciascuno vive a modo proprio la professione. Per quanto mi riguarda, sono convinto che la bolla mediatica alla lunga non paga mai. Paga so­prattutto il lavoro».

Come ha vissuto il periodo del­­­­­la pandemia?
«Per me è cambiato poco, perché ho continuato ad andare in onda. Mi ritengo fortunato per questo e per non essermi ammalato. Le trasferte sono mol­to diminuite e abbiamo cer­­cato di realizzare puntate più “sem­plici”, facendo i conti il meglio possibile con le problematiche e le regole imposte per il contenimento del contagio, ma siamo riusciti a non mancare un solo appuntamento con “Gusto”».

Cosa vede nel futuro dell’agroalimentare?

«È un settore in forte crescita: basti pensare che nell’arco di pochi decenni l’export del com­parto vitivinicolo è passato da quasi 2 a circa 8 miliardi di euro: si tratta di un sistema molto importante, che po­trebbe ulteriormente mi­glio­ra­re ma ci sono criticità endemiche, strutturali. Il futuro di­pende in gran parte dalle in­frastrutture e dalla capacità po­litica di favorire e rendere più facile l’intrapresa: è necessario abbassare le tasse e creare le infrastrutture. La carenza delle ultime rende difficile crescere ancora, soprattutto al Sud, area che ha potenzialità sottovalutate ed enormi. Servono strade, aeroporti, tre­ni, navi: bisogna correre veloci per arrivare rapidamente sulle tavole dei consumatori di tutto il mondo».

Che relazione c’è fra televisione e mondo del vino?

«Nelle grandi reti c’è ancora una forte resistenza a parlare di vini in modo esplicito: è il retaggio di una vecchia cultura anni ’50 che considerava l’alcol il demonio. È arrivato il momento di un cambiamento e sarebbe bene che lo facesse la tv privata, più coraggiosa, svelta e attenta alle ragioni commerciali: intendo farmi portatore con Mediaset del messaggio che è tempo di su­perare questa sorta di “pruderie”, che invece non tocca al­tri settori come la moda e le au­tomobili. Magari su Rete 4 o in orari meno frequentati dai bambini, oppure la domenica mattina, il trucchetto della bottiglia coperta si po­trebbe evitare. Dal canto loro, i produttori dovrebbero sconfiggere la ritrosia verso le campagne pubblicitarie televisive, da lanciare non solo in Italia ma anche in Germania, Fin­landia, Norvegia, Gran Bre­ta­gna e, perché no, anche in Fran­cia. Un modo concreto per aiutare un sistema a imporsi e a fare sempre più bella l’Ita­lia, perché le aziende vitivinicole contribuiscono a tutelare e migliorare il paesaggio».

Lei è nato a Torino. Che rapporto ha con il Piemonte?

«Ne ho grande rispetto e lo ammiro tantissimo per la bellezza straordinaria che l’opera dell’uomo ha reso ancora più sbalorditiva. A partire dal capoluogo, Torino, il Pie­mon­te è uno scrigno di bellezza architettonica e artistica. Nel settore agroalimentare, ha fatto da apripista e da volano per tante iniziative. Alba, dove sono stato qualche giorno fa per un convegno (di cui Rivista IDEA si è occupata sul numero scorso, ndr), è un modello di sviluppo che andrebbe emulato da centinaia di co­mu­ni in Italia, dal Nord al Centro e al Sud. È molto bella e ha grandi risorse vitivinicole, ma ci sono tante città nel nostro Paese non meno belle e con le stesse ri­sorse, se non superiori, che però non riescono a ottenere gli stessi risultati: un paradigma da studiare ed esportare in tutta la nazione».

Articolo a cura di Adriana Riccomagno