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«Alba, grazie! Qui il mio sogno può realizzarsi»

Il cantautore ligure Drew Righi ha trovato nella “capitale delle Langhe” il contesto ideale per potersi affermare nel mondo della musica: sarà anche a Casa Sanremo

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Da Albenga a San­remo, con tap­pa (fondamentale) ad Alba. No, non stia­mo parlando di una corsa ciclistica, né di un suggestivo tour tra Piemonte e Liguria. Estremizzando, riassumiamo così la brillante carriera musicale di Drew Righi, al secolo An­drea Riggi, nato in terra al­bingauna nel 1995, trasferitosi per motivi di lavoro ad Alba nel 2019. Tappa che finora sta fa­cendo la sua fortuna. Una sconfinata passione per la musica lo sta conducendo, attraverso sa­crifici che continuano an­cora og­gi, a scalare gradino dopo gradino la via della notorietà e del successo, fino alla “convocazione” a Casa Sanre­mo Live Box 2022, preziosa “vetrina” per gli artisti emergenti.

Andrea, come nasce “Drew Righi”?
«“Righi” deriva da una involontaria storpiatura del mio cognome da parte di una mia insegnante alle superiori. Han­no preso a chiamarmi co­sì, e “Righi” è rimasto. Con “Drew” invece strizzo l’occhio al mondo internazionale. Ho cambiato il mio nome per avere una nuova identità di personaggio, senza peraltro rinnegare minimamente la mia storia personale».

Alba rappresenta uno snodo fondamentale. Come mai?
«Nel 2019 lavoravo in Ligu­ria, nella grande distribuzione organizzata. Mi proposero un trasferimento ad Alba. Ero ancora diviso tra voglia di fare musica e necessità di man­tenere un lavoro. Decisi di provare, sarei rimasto se mi fosse piaciuto. A due anni di distanza, an­che se non ho an­cora avuto mo­do di “vivere” a pieno la città, posso affermare che è andata bene. Qui ho incontrato le persone giuste».

Chi sono?

«Tutto è cambiato quando mi sono imbattuto nel Dragonfly Studio e nel fantastico team di Ipogeo Records, che produce i miei brani, con Filippo Co­sen­tino nelle vesti di produttore e ar­rangiatore e Federico Mol­lo co­me fonico. Soprat­tut­to in Filippo Cosentino ho trovato un maestro, uno di quelli che ti insegnano il mestiere e tutti i suoi “trucchetti” direttamente sul cam­po, anche es­sendo severo quan­do necessario. Era ciò di cui avevo bisogno».

E così ha iniziato a fare davvero sul serio con la musica…
«Nel luglio 2020 il brano d’e­sordio “Il nostro girotondo” si è piazzato bene, è entrato nelle playlist dei cantanti emergenti, si è guadagnato tanti “clic” su Spotify. Lo scorso maggio è uscito “Ba­ciami a mezzanotte”, che è stato am­messo alla fase finale di San­remo Rock. In estate mi sono esibito al Tour Music Fest e al festival “Cantautori d’Ita­lia”, nella mia Albenga e an­che a Fi­ren­ze, con gli amici di LiBe».

Che pensa della prossima esperienza a Sanremo Live Box?
«Quando mi ha chiamato Cosentino, non ci volevo credere. Mi consentirà di muovere un passo verso il mondo della musica dei grandi, di conoscere altri artisti, cercando di capire il loro modo di fare arte, di rapportarsi, di promuoversi. Stiamo cercando di scrivere al meglio il singolo: c’è un testo da limare, stiamo lavorando anche alla musica. Al di là della profondità delle parole, voglio che questo brano “mi diverta” cantandolo».

Si sente pronto alla competizione?
«Non vivo la competizione con gli altri, ma con il “me stesso”… del giorno prima. Per me la competizione è lotta contro sé stessi allo specchio, è guardarmi indietro dopo un nuo­vo brano e cercare di capire se e quanto sono migliorato».

Quali sono i suoi modelli?
«I “frontman” dei Linkin Park: Chester Bennington, dal punto di vista strettamente musicale, e Mike Shinoda, dal punto di vista artistico. Per la parte cantautoriale mi ispiro a Ultimo, Fabrizio Mo­ro, Ermal Meta».

Lei come si definisce?
«Un cantautore pop, con all’interno un’anima rock ben definita. Sono stato influenzato inevitabilmente anche dal rap, che ho imparato ad ap­prezzare e amare».

Quanto c’è di lei nelle sue canzoni?

«C’è molto della mia difficile esperienza familiare. Mia ma­dre si dovette reinventare do­po l’alluvione del ’94; mio padre si ammalò quando ero ragazzino: con lui il rapporto è sempre stato difficile, mi ha lasciato delle cicatrici morali e fisiche. Dall’età di 15 anni ho sempre dovuto lavorare per mantenermi ed emergere. Nel­le mie canzoni c’è tutta la mia voglia di rivalsa».

È la musica ad averla salvata?
«Sì. Senza la musica la mia vita forse sarebbe stata perduta. Da ragazzino ascoltavo sempre musica “triste”: è da questa che viene fuori tutta la forza dell’artista ed è questa che ti fa sentire meno solo».

BaNNER
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