Fondazione Ferrero la materia di Burri è diventata poesia

Inaugurata l’importante mostra albese visitabile gratuitamente sino a fine gennaio

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«Bentornati». Le parole di Bartolomeo Salomone, segretario generale della Fondazione Ferrero e presidente di Ferrero Spa, non nascondono la soddisfazione di poter riaprire finalmente al pubblico le sale espositive con l’eccezionale mostra “Burri. La poesia della materia”, dedicata all’artista e pittore umbro Alberto Burri (1915-1995). Da sabato 9 ottobre fino al 30 gennaio, come sempre gratuitamente, saranno a disposizione degli spettatori 45 opere provenienti dalla Fondazione Palazzo Albizzini, Collezioni Burri e da diverse collezioni private. La mostra, a cura del professor Bruno Corà, offre un allestimento studiato proprio per le sale della Fonda­zio­ne e accoglie anche opere di grandi dimensioni in cui la materia stessa, attraverso le sue molteplici lavorazioni, si trasforma in oggetto di narrazione. Nell’arco temporale che va dal 1945, con i primi “Catrami” (1948), sino alle ultime opere “Oro e nero” (1993), i lavori presenti ad Alba coprono tutte le varie fasi della vita dell’artista, appassionato sperimentatore di tecniche e materiali. Ad una prima fase figurativa del pittore, di poco successiva alla fine della sua prigionia in un carcere militare in Texas, seguono i periodi in cui l’impiego di materiali non pittorici permette all’artista di volgersi con decisione verso l’astrattismo. Ecco allora le opere create con catrami, muffe, sacchi, in cui i materiali poveri si trasformavano in tela e supporto in grado di rimandare, in maniera scarna e poetica come versi ermetici, il messaggio dell’artista. La pura tecnica, portata all’estremo, permette a Burri di dare vita ad opere realizzate attraverso le combustioni e l’uso pindarico di legni, ferri e plastiche, fino alla bruciante esperienza dei cretti.
«Il titolo della mostra», spiega il curatore Bruno Corà, «va inteso alla lettera, si tratta infatti di dare voce all’intimo legame di Burri con il mondo dei poeti del suo tempo. Giuseppe Ungaretti, non a caso, commentò “Amo Burri perché non è solo il pittore maggiore d’oggi ma è anche la principale causa d’invidia per me: è d’oggi il primo poeta”». Il materiale stesso si trasforma in messaggio. Il sacco da scarto diventa tela, ispirazione, linguaggio, in maniera estrema e quasi scandalosa per l’epoca. La materia è usata pu­ra, senza compromessi, nella costante ricerca di una relazione perfetta tra forma, equilibrio e spazialità.
«Il linguaggio di Burri», prosegue Corà, «è davvero affine alla poesia, tanto è evidente la sua tensione a costruire una metrica precisa proprio attraverso le bruciature, le saldature, i rimaneggiati estremi volti a carpire il segreto vitale della materia».
Nel Dna delle opere di Burri si intravede dagli albori il tema della ricerca di un lavoro in base metrica. Ben presto nelle sue opere i pigmenti vengono sostituiti con elementi extra pittorici, quotidiani, in un esercizio costante di tensione verso una libertà di espressione. La mostra alla Fondazione Ferrero evidenzia questo viaggio attraverso la sensibilità dell’artista umbro e gli elementi materiali fuori delle regole. Catrami, concrezioni, colle, misture diventano i suoi strumenti di lavoro mentre si assiste a una progressiva ri­nuncia alla rappresentazione realistica della realtà. Ai rammenti, alle cuciture e ai rattoppi viene lasciata la ricerca di un equilibrio, inteso come tentativo di portare qualcosa di caotico e disordinato nell’ordine e nella quiete. Le opere di Burri diventano così oggetti più che quadri. Burri gioca con la meraviglia dello spettatore, non esita a usare il fuoco per tracciare i suoi segni e le mani per creare le giuste sfumature, invece dei pennelli. Discontinuo ma coerente, Alberto Burri crea una forma di pittura mai vista prima, ne studia ogni dettaglio, ne spia sonorità, timbri e pause. La governa e la piega alle regole classiche delle arti visive, come la sezione aurea, invisibile eppure ben rintracciabile in diverse sue opere. Come un poeta con i suoi versi, Burri permette alla ma­teria di go­vernare lo spazio bianco (reale e metaforico) con le sue energie e pulsioni, senza però mai smettere di tenerla in scacco.