L’esposizione dedicata ad Alberto Burri ad Alba prosegue per tutto il periodo anche in una seconda sede, Palazzo Banca d’Alba, con una mostra documentaristica dedicata alla realizzazione della “land-art” più famosa dell’artista umbro, il Cretto di Gibellina, a cura di Bruno Corà, Tiziano Sarteanesi e Stefano Valeri. Con questo nome viene colloquialmente chiamato il “Grande Cretto”, opera “site-specific” realizzata dall’artista tra il 1984 e il 1989 nel luogo in cui sorgeva la città vecchia di Gibellina, completamente distrutta nel 1968 dal terremoto del Belice che rase al suolo la città, lasciando la maggior parte delle famiglie senza tetto. Si tratta di un gigantesco monumento che riprende il concetto di cretto, ovvero crepa, fenditura, già caro all’artista, e ripercorre le strade e i vicoli della vecchia città distrutta, nato grazie alla cementificazione delle macerie degli edifici crollati rimasti sul luogo dove sorgeva la vecchia città. Una grande opera di riciclo che rese questi materiali di scarto materia nuova e viva, pronta per essere riplasmata dalla creatività dell’artista umbro. Dopo il terribile terremoto che colpì la città di Gibellina, il sindaco di allora chiese a diversi artisti di collaborare ad abbellire il nuovo centro abitato appena riscostruito in un’altra sede. Appena arrivato però Alberto Burri capì che per suo lavoro doveva andare a cercare ispirazione altrove: «Qui non ci faccio niente di sicuro, dissi subito, andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese. Era quasi a venti chilometri. Ne rimasi veramente colpito. Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne l’idea: ecco, io qui sento che potrei fare qualcosa». E creò il “Grande Cretto”, a imperitura memoria della ferita inflitta dal terremoto ma soprattutto della feritoia da cui spesso l’arte permette di far entrare nuova luce.