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Il Nobel della semplicità

Giorgio Parisi, fisico insignito a Stoccolma, è un gigante che sa parlare a tutti, amatissimo da studenti e colleghi. Una vita spesa per la ricerca, ma fatta anche di favole e danze brasiliane

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“Bella, Giorgio”. Confidenziale, gergale, in apparenza irriverente. Invece simbolico della capacità dei grandi di non scalare piedistalli di supponenza, di vivere le realtà che più amano per trasmettere, insegnare, condividere. “Bella, Giorgio” si confonde tra cori quasi da stadio, s’avverte nitidamente nell’omaggio più vero al professor Giorgio Parisi, 73 anni, premio Nobel per la fisica: spezza il silenzio in un’aula dell’università la Sapienza dove ha passato una vita, studente prima e docente poi, e scatena un uragano di applausi. Ricercatori, collaboratori e studenti brindano con semplicità a un successo mondiale, e l’esclamazione diventa sintesi perché cancella ogni distacco: il valore riconosciuto per virtù e carisma e insieme la vicinanza tra maestro e allievo, l’affetto profondo di chi apprezza qualità che vanno oltre la ricerca: la capacità di fare squadra, di rimanere umili, di preoccuparsi dei giovani e del loro futuro. Capita che dopo un premio così prestigioso ci si rifugi in una torre d’avorio, il mondo fuori e un pieno di orgoglio. Parisi no, Parisi vuole attorno chi ne condivide la quotidianità, sceglie di vivere l’emozione nei suoi luoghi, l’Accademia dei Lincei prima dell’università, un pensiero ai vecchi maestri che il Nobel non l’hanno mai ricevuto. Il prologo era stato il Wolf, riconoscimento meno noto al grande pubblico ma importantissimo, s’intuiva dalla motivazione che lo indicava tra “I fisici teorici più influenti e creativi degli ultimi decenni”. A Stoccolma lo hanno insignito “per i contributi innovativi alla comprensione dei sistemi fisici complessi, per la scoperta dell’interazione tra disordine e fluttuazioni nei sistemi fisici da scala atomica a scala planetaria». E lui ha sorriso: «Metto ordine nel caos», giocando sull’onda travolgente d’affetto. Non s’è soffermato troppo sulla ricerca, sugli studi, sulle notti insonni, sulle rinunce: ha detto d’essere stato fortunato ad avere accanto bravi mentori e collaboratori e s’è augurato, lui sempre tornato a Roma pur insegnando alla Columbia University e all’École Normale Superieure di Parigi, che il suo esempio possa arrestare la fuga dei giovani cervelli italiani. Poi ha stupito raccontandosi come autore di testi e articoli d’elevato valore scientifico, ma anche di favole: destinate ai figlioletti, tramandate ai nipotini. «La scienza andrebbe insegnata ai bambini, se è in difficoltà è anche per la scarsa diffusione della cultura». E ha spiegato: «Viviamo in una società intrisa di tecnologia, ma dimentichiamo che la tecnologia si basa sulla scienza. Prosciugando quest’ultima, si fermerà la prima. Oppure resterà appannaggio di quei pochi Paesi che continuano a investire in conoscenza». Insiste sui giovani, li ha nel cuore, è sensibilissimo al cambiamento climatico: «Bloccarlo è un’impresa che impegnerà l’umanità per moltissimi anni e le nuove generazioni avranno un ruolo fondamentale. L’educazione è un punto cruciale. I giovani devono essere in grado di capire la situazione generale e di formarsi le proprie. Dobbiamo dare un’educazione scientifica a partire dalla scuola materna». Lo immaginiamo austero, solenne, irraggiungibile, e invece sorprende con il suo candore, con i suoi umanissimi hobbies: scopriamo che l’uomo che ha riportato in Italia il Nobel per la Fisica è un grande ballerino di forrò, danza brasiliana. “Bella, Giorgio” hanno urlato. E non è irriverente. È l’elogio a un gigante che sa parlare a tutti, l’applauso a un’eccellenza italiana. In senso pieno. Perché Parisi è romano, come i genitori, e romano da sette generazioni era uno dei nonni, ma gli altri tre arrivavano da regioni lontane: il nostro Piemonte, l’Umbria e la Sicilia.