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«Ipnosi in cardiologia Il paziente è sveglio»

Il dottor Scaglione e l’equipe del “Cardinal Massaia” di Asti all’avanguardia mondiale

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Dottor Scaglione, è vero che la prima causa di morte in Italia è legata a patologie cardiovascolari?
«Non soltanto in Italia, è così in tutta Europa e nei cosiddetti paesi civilizzati. In Africa chiaramente ci sono altre emergenze, da noi è sicuramente il motivo principale, più del cancro. E allora bisogna agire, dobbiamo pensarci ancora prima della visita che evidenzi un eventuale problema. Ecco perché è fondamentale una buona divulgazione mediatica, dal cardiologo si deve andare non a quaranta, ma già a vent’anni. Prevenire significa adottare uno stile di vita adeguato».

Se ne parla spesso, ma giova ripetere: a cosa dobbiamo fare attenzione?

«Sappiamo bene ormai che il primo fattore di rischio è rappresentato dal fumo. Sappia­mo anche che ci sono fattori non modificabili e sono legati alla genetica: certe caratteristiche che ci portiamo dietro dalla nascita ci rendono più esposti. In un prossimo futuro la vera sfida sarà poter fare una valutazione genetica e individuare una predisposizione. Ma non è ancora possibile, quindi dobbiamo agire su quei fattori di rischio che sono modificabili. Con qualche distinguo».

Per esempio?

«Il diabete è una via di mezzo. Costringe i pazienti a sottoporsi a una terapia rigorosa, alla dieta, perché si può arrivare all’arteriosclerosi. E si può morire d’infarto. Ma anche qui l’attenzione per lo stile di vita riduce il rischio».

In particolare, parliamo di alimentazione?
«È l’altro tema dopo il fumo. Vanno privilegiati i cibi con acidi grassi polinsaturi, con fibre così da portare a livelli sostenibili il colesterolo Ldl, quello “cattivo”. Poi nei soggetti che non curano l’alimentazione o che hanno una predisposizione genetica oggi interveniamo farmacologicamente con i nutraceutici, gli integratori come il riso rosso fermentato. Oppure altri farmaci in grado di incidere sulla sintesi epatica come le statine».

Tutto questo va abbinato a una buona attività fisica.

«Sì, gli effetti positivi sono evidenti. Si alza il colesterolo Hdl, quello “buono”. La sedentarietà va combattuta, nel contesto di uno stile di vita sano. Facendo anche attenzione a piccoli dettagli come, per esempio, evitare di salare troppo il cibo perché l’ipertensione è un altro fattore di rischio».

L’estate magica dello sport azzurro ci aiuterà a comprendere meglio l’importanza di una vita attiva?
«È stata una boccata d’ossigeno sotto diversi punti di vista. A parte che gli inglesi ora scappano quando ci vedono… Ma queste vittorie hanno aumentato l’autostima del Paese e fatto venire voglia di muoversi. Una grande promozione per sport come l’atletica, un bellissimo messaggio. Fare sport significa anche seguire una dieta adeguata, non fumare e insomma si tratta di un ottimo volano per buone pratiche».

Ci tolga un dubbio: dopo i vaccini sono aumentati i casi di miocarditi e pericarditi?
«Chi sostiene certe teorie lo fa su basi autoreferenziali. In altre parole, sono stupidaggini, informazioni prive di riscontri oggettivi. Noi ci atteniamo al metodo scientifico, al nesso causa-effetto. I vaccini creano sempre una reazione infiammatoria, più o meno evidente. Qualcuno non si accorge di nulla, altri hanno febbre e mal di testa. Poi, in rarissimi casi, si creano i presupposti di reazioni av­­verse. Parlo, a questo proposito, sulla base di studi co­me quello del professor Sina­gra che ha valutato in un re­port italiano l’incidenza dei ca­si di pericardite/miocardite dopo il vaccino: molto bassa. E molto spesso con esito be­nigno. Parliamo del resto di un vaccino a mRna: è come un biglietto inserito in una macchina che in base alle istruzioni, stampa copie dello stesso. Non agisce come i vaccini del passato nei quali era presente un virus “bastonato”, ma su una reazione in­fiammatoria che stimola nel­l’organismo la creazione di anticorpi».

Non si può dire che lei non sia aperto a nuove sperimentazioni. Pensiamo all’uso dell’ipnosi in cardiologia…

«Sono orgoglioso di essere stato il primo ad averla istituzionalizzata a livello mondiale. Assieme ai miei collaboratori, ci siamo formati partendo da fatti aneddotici e abbiamo visto che funzionava. Prima era utilizzata per combattere i dolori cronici in ambito oncologico. Quella tecnica l’ho portata nella sala interventistica, istituzionalizzandola. La applichiamo co­me adiuvante alle tecniche di analgosedazione negli interventi. In Europa è prevista la narcosi, si intuba il paziente. E mentre da noi è richiesta la presenza di uno specialista in anestesia, in Germania fa tutto il cardiologo. Dal 2018 con la mia équipe ci avvaliamo solo dell’ipnosi con anestesia locale, il paziente resta sempre co­sciente. Questa è la novità, condivisa in tre articoli pubblicati sull’International Journal of Cardiology: uno dedicato alla casistica, uno alla divulgazione del metodo, un altro per la tecnica di ipnosi in analgosedazione».

Quali sono oggi le tendenze? C’è una crescita globale dei casi di infarto?
«Tendenzialmente stanno crescendo in tutti i paesi come il nostro che negli anni hanno modificato le abitudini alimentari. È vero che la vita media si è allungata e con essa le patologie. Ma noi ci siamo un po’ “americanizzati”, mettendo da parte la dieta mediterranea ed è un fatto che il tasso di obesità nei ragazzi sia cresciuto del 30%. Così si crea maggior predisposizione alle cardiopatie ischemiche. Una volta però ci si curava di meno, negli ultimi trent’anni la tecnologia ha prodotto un salto in avanti nel settore cardiologico. Personalmente, dal 2011 nel 90% dei casi non uso più raggi X per le ablazioni. Ci sono stati enormi progressi e le prospettive ci inducono all’ottimismo».