«Trovate il coraggio di esporre sempre le vostre idee»

Renzo Piano ospite dell’Università di Pollenzo

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Sceglie le parole con cura, per costruire il suo discorso con la stessa perizia con cui ha realizzato alcune delle opere architettoniche più geniali e conosciute al mondo, di questo e del passato secolo. A margine della “lectio magistralis” tenuta in occasione dell’apertura dell’anno accademico 2021-2022 dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Renzo Piano si è intrattenuto con i tantissimi che avevano in serbo una domanda per lui. Tra questi, anche noi di IDEA.

Senatore Piano, sa che nelle parole crociate c’è una definizione che la riguarda?
«Francamente non lo sapevo».

Il testo recita: “Renzo Piano ne è un illustre esponente”.
«Bene, e risulta che la indovinino?».

Sì, ma il punto è questo: “architettura” è certamente una risposta corretta. Però è sufficiente a definirla?

«Non lo so, anche perché io sono nato in una famiglia di piccoli costruttori: lo erano mio nonno, i miei zii, mio padre. Sono cresciuto su un mucchio di sabbia, perché andavo spesso in cantiere».

Un’iniziazione all’architettura molto precoce, in un certo senso…
«Più che altro sono cresciuto con l’idea che non c’è l’architettura, ma esiste l’arte del costruire. Costruire le cose, farle. Ho volutamente sempre un po’ confuso idea, ideazione, disegno e costruzione. In fondo quello dell’architetto, come pure del gastronomo, è un mestiere umanistico in cui si mescola la tecnicità, ovvero la scienza del fare, con la poetica del fare. Certo, l’architetto è il mio mestiere, ma non mi basta. Non mi riconosco appieno in questa definizione che amo e rispetto naturalmente, però costruire è nobile causa. Oddio, dipende sempre da cosa si costruisce. Se si erigono muri per dividere è una pessima cosa, se si costruiscono ponti è già molto meglio. Più di tutto, è bello costruire luoghi in cui la gente possa ritrovarsi: è un gesto dall’alto valore civico, anche di pace».
Così l’architetto italiano più famoso nel mondo parla dopo una lunga “lectio” in cui ha provato a spiegare agli studenti l’importanza di avere delle idee e di condividerle con gli altri, iniziando un ping pong che spesso porta a qualcosa di buono. «È importante prendere coraggio. E anche riconoscere che posso dire una stupidaggine, ma occorre dirla», ha affermato Piano, per poi aggiungere: «Le idee buone le riconosci solo dopo, dopo che ti sono tornate indietro. Non è facile quando ti viene una idea, perché non sembra nemmeno la tua, non è la tua: io esisto come la somma di tutte le persone che ho incontrato, le cose che ho visto, le cose che ho imparato. È così che si esiste. Siamo tutti “rapinatori” di idee: rubate, a patto che restituiate, magari aggiungendo qualcosa. Non abbiate paura di avere idee, anche se temete che la vostra sia di un altro. C’è un poeta, Jorge Luis Borges, che ha espresso un concetto molto bello. Ha detto che: “ogni attività creativa è sempre sospesa tra la memoria e l’oblio, e quindi necessariamente si inventano delle cose, si aggiungono elementi».
Tanti i temi di grande interesse toccati nella sua “lectio”, durante la quale Piano ha esortato più volte i presenti a ricordare quale fosse stato il momento in cui hanno avuto la loro prima idea. Al termine dell’intervento, Piano ha lasciato spazio alle domande degli studenti.
In particolare a chi gli ha domandato quale fosse stata l’idea più bella che portava nel cuore, il senatore a vita ha risposto: «Ne ho talmente tante che potrei essere travolto dai ricordi. A una certa età, però, ti tiene in vita quello che devi ancora fare, non quello che hai fatto. Nostalgia e memoria sono vicine di casa, bisogna stare attenti. Se penso alle cose che ho fatto, a dire il vero, non so chi abbia avuto l’idea. L’arte del costruire si confonde con l’etica e la poesia del costruire. Se passiamo dalle idee ai progetti, devo dire che voglio bene a tutti gli edifici che costruisco, me li vado a guardare ogni tanto, spesso in incognito, con la preoccupazione che stiano bene. Perché se un edificio è felice, anche le persone che lo utilizzano lo sono. Mi sento molto legato all’ospedale pediatrico costruito in Uganda con Gino Strada, un amico scomparso due mesi fa. Gino aveva la nozione di bellezza. Mi disse: “Devo fare un ospedale sul Lago Vittoria, voglio che sia scandalosamente bello”. Quando si fa un dono, qualcuno pensa che non conti il risultato. Lui, invece, voleva che fosse l’edificio migliore del mondo».