“Chi sa solo di tennis, non sa niente di tennis”. Nella citazione originale, la frase di Mourinho faceva riferimento al calcio, ma lo sport di Federer rende non meno vero l’assunto, anzi. Per dimostrarlo, basterebbe citare una qualsiasi delle inarrivabili telecronache a due voci di Rino Tommasi e Gianni Clerici, in cui si passava dalla descrizione di un lungolinea a una citazione di Paul Verlaine senza colpo ferire. Non è tanto una questione di sfoggio di cultura, quanto di esperienze personali che, se le si sa utilizzare a modo, diventano funzionali al racconto di quello che sta succedendo in campo.
Tra i pochi che hanno raccolto il testimone dalla nobile scuola de telecronisti c’è l’albese Federico Ferrero. Il giornalista e scrittore da pochi giorni è in libreria con un nuovo lavoro editoriale, incentrato sulla storia e il metodo di Riccardo Piatti, uno dei coach di tennis più noti al mondo, il quale sta contribuendo, tra le altre cose, all’ascesa di Jannik Sinner, da questa settimana “top ten” della classifica mondiale, ad appena 20 anni (ne parliamo nel box a lato).
Anche riguardo Ferrero non mancano occasioni in cui ha dato dimostrazione di saper trasmettere suggestioni non solo tennnistiche. «Quando Berrettini vinse il primo set contro Djokovic mi è tornata alla memoria quella volta in cui stavo andando ai laghi di Roburent», spiega Ferrero, «e dopo tre ore e mezza di camminata, ero convinto di essere arrivato in vetta invece, per un inganno prospettico, era una falsa cima e mancavano ancora due ore di camminata. Ho citato quell’episodio in telecronaca per spiegare ciò che stava provando Berrettini, il quale dopo il primo set vinto si è reso conto che la strada era ancora lunga, molto più di quanto immaginasse».
Commenta il tennis per Eurosport dal 2005. Si ricorda la prima partita?
«Commentai l’incontro dell’Atp di Vienna tra Juan Carlos Ferrero e David Nalbandian. Ero nel panico più totale, perché pensavo fosse una prova nella quale avrei commentato un match registrato, invece mi hanno mandato in diretta, dicendomi che era l’unico modo per valutarmi».
Come si prepara per le telecronache?
«I primi anni mi preparavo troppo, ma non puoi controllare quello che succede in campo e poi non sopporto le frasi fatte, quindi mi impongo di entrare con la mente sgombra e di basarmi su ciò che vedo».
Da dove effettua le sue telecronache?
«I tornei più importanti li seguiamo da studio, mentre all’inizio andavamo addirittura sul posto. Invece gli altri tornei li commentavamo da remoto già in tempi non sospetti. Da questo punto di vista mi sento di dire che sono stato un precursore del telelavoro, perché già nel 2009 commentavo dal Mussotto di Alba. Chi, pensando che fossi sul posto per la telecronaca, poco dopo la fine della partita mi vedeva sul campo da tennis di Ricca, mi guardava stupefatto: “Non è possibile, mezz’ora fa stavi commentando Federer, sono sicuro che eri tu, come fai a essere qui ora?” All’inizio mi sono divertito a trovare spiegazioni improbabili; a un certo punto ho svelato il trucco».
È andato sempre tutto liscio?
«Quando commentavo da casa i tornei americani c’era qualche problema di orario… Alle 5 del mattino in un condominio non era possibile alzare la voce: dovevo darmi un contegno. Chissà, forse il mio stile un po’ troppo compassato nasce proprio dal fatto che per tanti anni sono stato costretto a non disturbare i vicini».
Il tennis italiano sta vivendo un periodo di grande splendore. Se lo aspettava?
«Prima o poi doveva arrivare un italiano forte, ma che ne arrivassero due, o forse tre, se non addirittura tre e mezzo, proprio non lo avrei mai immaginato».
Analizzato da uno che lo commenta per lavoro, che tipo di sport è il tennis?
«La mia sensazione è che il tennis sia uno sport estremamente crudele, che non ti dà protezioni: sei solo in campo, non hai una squadra intorno, se non hai o trovi i fondi per iniziare non puoi giocare, le scelte che fai da ragazzino ti ricadono sul groppone più avanti, quasi mai ti puoi allenare vicino a casa e anche da più grande sei sempre in giro per partecipare ai tornei sparsi nel mondo. Mettiamola così: non spingerei mio figlio a giocare a tennis a livello professionistico…»