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Vicino alla meta

Tra fuga dai dubbi sui social e sguardo al futuro, Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, cambia nome all’impero che abbraccia anche Whatsapp e Instagram E punta a Metaverso, mondo virtuale in cui potremo giocare, lavorare e fare shopping con i nostri avatar

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Cominciò tutto in una stanza del dormitorio di Harvard. O forse no, cominciò tutto in un’aula della Phillips Exeter Academy. Perché Facebook vide la luce all’università, nel 2004, ma prima fonte d’ispirazione di Mark Zuckerberg fu probabilmente l’annuario della sua scuola superiore, così ribattezzato dagli studenti benché edito come The Photo Andress Book. O forse, addirittura, cominciò tutto alle medie, con i primi programmi di un predestinato, introdotto a Basic da papà Edward, dentista, e formato da David, sviluppatore di software. Il computer era il suo mondo, anche se non l’unico: eccelleva nella scherma e conosceva a memoria lunghi passi dei classici greci. A dire il vero, alcuni compagni tacciarono Mark di aver rubato loro l’idea, con tanto di causa terminata con un accordo che riconobbe loro 1,2 milioni di azioni. Comunque sia, Facebook fu subito un boom: nella prima versione ebbe un tal successo da essere sospeso, due giorni dopo il varo, per aver sovraccaricato la rete universitaria, da Harvard si estese ad altri campus e poi fu un dilagare continuo: oggi gli utenti attivi mensili sono 2,83 miliardi. Subito successo, subito problemi: alcuni studenti protestarono per l’utilizzo non autorizzato dei loro volti nella primissima versione. Poi ci fu la causa dei compagni, poi quella del primo finanziatore e amico Severin, poi le accuse di evasione fiscale. Il tutto mentre la popolarità del social imperversava, l’impero si estendeva e Zuckerberg diventava sempre più potente: attualmente è l’ottavo più ricco al mondo con un patrimonio di 116,2 miliardi di dollari, fortuna che restituisce con tante iniziative benefiche. Un intreccio di successo e problemi. Negli ultimi tempi un assedio di critiche, sospetti e accuse, tra interferenze nelle elezioni presidenziali statunitensi e conferme interne sulla consapevolezza di negatività scientemente occultate e tollerate in nome del business. La reazione è la richiesta di un regolamentazione chiara (“I politici non possono chiederci di sopperire alle loro mancanze”) e un contrattacco alle accuse dei media, ma forse anche il cambio di nome, apparente colpo di spugna sulla reputazione ammaccata e in realtà nuovo passo nel futuro: la nuova denominazione (non del social come può sembrare di primo acchito, ma dell’azienda californiana che abbraccia anche Whatsapp e Instagram) è Meta, il marchio blu richiama l’infinito, l’obiettivo è il Metaverso, ambiente virtuale dove incontrarsi e giocare, seguire eventi sportivi e musicali, lavorare e fare shopping attraverso avatar, nostri alter ego a loro volta virtuali, utilizzando occhiali e visori e altre applicazioni. «Caratteristica sarà una sensazione di presenza, come se fossi proprio lì con un’altra persona o in un altro posto, teletrasportarto come oleogramma in ufficio, a un concerto con gli amici o nel salotto dei tuoi genitori», sintetizza Zuckerberg. Uno sguardo oltre, come sempre ha fatto, fin da ragazzo, e insieme una fuga dai dubbi sulla disinformazione e sui contenuti divisivi. Non un progetto vago, visto che sull’area progettuale legata al Metaverso, destinato ai 5,45 miliardi di utenti sulle piattaforme del gruppo, si calcola un investimento di oltre 10 miliardi di dollari.