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«Più diritti e lavoro si costruisce così il nuovo benessere»

Paolo Damilano, imprenditore torinese con forti origini langarole, guiderà per i prossimi cinque anni l’opposizione nel Comune di Torino: «La città prenda spunto dal sistema bergamasco e dalla Granda. Io agirò con serietà e passione»

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Nell’ultima campagna elettorale si era definito un convinto moderato di matrice liberale; e questo approccio, fondato su una visione conservatrice ma aper­ta al cambiamento e alla ri­forma, è quello che cerca di adottare anche nella sua vita imprenditoriale, che lo vede pro­tagonista nell’Albese con le cantine di famiglia e nel settore dell’acqua.

Paolo Da­mi­lano, candidato a sin­­daco per il Comune di To­rino nella tornata elet­torale che si è conclusa da poco, è pronto a raccogliere le sfide che sarà chiamato ad affrontare, nei prossimi cinque anni, come leader dell’opposizione («un’opposizione che sarà costruttiva e mai ideologica, capace di ga­ran­tire, quando necessario, si­nergie con la maggioranza») e si dice convinto di po­ter portare, nelle proposte per la città, il “pi­glio” imprenditoriale che lo contraddistingue. Insieme, na­­­­turalmente, ai va­lori della sua famiglia, originaria della provincia di Cuneo, di cui ricorda «la dedizione e la propensione al lavoro».

Paolo Damilano, al di là del risultato politico, che cosa le ha lasciato umanamente l’e­sperienza elettorale?

«Tantissimo. Ho avuto la pos­­­­­sibilità di conoscere a fon­do la mia città e di vederne, da un’altra prospettiva, i dolori e le sofferenze. Mi porterò per sempre dietro i vissuti delle centinaia di persone incontrate e cercherò di fare mie le loro esigenze per lavorare con serietà e passione all’opposizione».

Lei si definisce, politicamente e imprenditorialmente, un moderato. Quali sono i suoi va­lori di riferimento?
«Ho sempre considerato fondamentale schierarmi in difesa dei diritti di tutti, contro ogni tipo di violenza e di sopruso. Credo, da un punto di vista economico e sociale, in un capitalismo virtuoso ma non ho difficoltà nel riconoscere che spesso le logiche produttive si avvitano in un meccanismo malato e portatore di disuguaglianze: per questo credo sia necessario impegnarsi per cercare di redistribuire le ricchezze e soprattutto, dopo questa guerra che è stata il coronavirus, lottare per limitare il più possibile la sofferenza della gente».

Lei ha cercato di portare il mon­do civico all’interno del­l’ambito politico. Quale deve essere, a suo avviso, il rapporto tra queste due realtà?
«Personalmente, ho tentato di mettere a disposizione ciò che ho imparato nella mia vita da imprenditore e nel mondo delle aziende. Penso, in particolare, alla capacità di progettazione e, successivamente, di attuazione delle idee, che sono abilità fondamentali per rendere più vicino il futuro nei nostri territori: ciò che volevo e continuerò a fare è provare a portare Torino nel mondo, in modo che la città torni ad essere protagonista sotto tutti i punti di vista e riacquisti la capacità di correre e tracciare la strada».

Ritiene che la politica abbia delle carenze e sia incapace di risolvere i problemi attuali?
«Questo mi sembra evidente, e non lo dico sicuramente so­lo io. Ci sono delle mancanze e delle lacune nella gestione delle tante difficoltà che sono sotto gli occhi di tutti. E il cam­panello d’allarme più evidente mi sembra sia il preoccupante dato dell’astensionismo: proprio per questo, in una situazione così complessa, ho provato a dire, con la mia candidatura, che lo spazio prettamente politico e quello civico devono andare a braccetto per creare sinergie positive per lo sviluppo del nostro territorio».

Quali possono essere le chiavi del rilancio piemontese?
«Prendo come esempio To­rino: una città con una tradizione industriale così radicata deve essere capace di rinnovare con forza quelli che sono stati i suoi cavalli di battaglia del passato, ma dobbiamo capire che non è più possibile legarsi esclusivamente a un solo modello di sviluppo e a pochi ambiti di innovazione. Dobbiamo essere capaci di diversificare il più possibile e guardare a modelli già esistenti in Italia come, tanto per citarne uno, quello del Ber­ga­masco: una miriade di aziende e imprese che occupano tanti settori del mercato garantendo la stabilità del sistema».

Un sistema che, a ben vedere, sembra essere già radicato nel Cuneese, da dove proviene la sua famiglia. Che cosa le è rimasto di questo angolo di Piemonte?
«Mi viene in mente l’Albese, la terra di mio padre: in genere, si pensa immediatamente all’ambito enogastronomico, ma sono tante le eccellenze, nei campi più svariati. Torino deve prendere esempio per molte cose dalla provincia di Cuneo e ispirarsi alle abilità imprenditoriali che caratterizzano quell’area: la capacità di impegnarsi fino in fondo e di combattere senza scoraggiarsi minimamente davanti al­le difficoltà sono elementi che ho sempre cercato di portare nella conduzione delle mie aziende e, adesso, nella vita politica. Perché, come sempre, alla base di tutto c’è il duro lavoro».

Chiudiamo con uno sguardo al panorama nazionale. Quali devono essere le misure più urgenti da attuare nel nostro Paese per uscire dalle strettoie del Covid?
«Dovremo senza dubbio essere bravi a usare le risorse al meglio, generando ricchezza e benessere. Saranno sicuramente fondamentali gli investimenti a favore delle infrastrutture, su modello di quanto avvenuto con la ricostruzione del Ponte Morandi a Genova; e, a fianco a ciò, è necessario ridurre l’“intasamento” burocratico e snellire i percorsi che riguardano le attività delle imprese; le aziende troppo spesso si trovano imbottigliate nelle pa­stoie normative. Questa mi sembra l’unica strada per tornare a correre».