All’ultima edizione dell’Asta Mondiale del Tartufo Bianco d’Alba, andata in scena nel suggestivo scenario offerto dal Castello di Grinzane Cavour, ha partecipato anche una fuoriclasse dello sport italiano: Martina Caironi, atleta lombarda già vincitrice di due medaglie d’oro e di tre d’argento ai Giochi Paralimpici, oltre che pluricampionessa mondiale ed europea. Noi di IDEA la abbiamo intervistata.
Martina, che impressione le ha fatto l’Asta Mondiale del Tartufo?
«È stato un momento per me inedito ed emozionante. Essere in una cornice così fiabesca, apprezzando del buon cibo e del buon vino, mi ha permesso di rilassarmi e di godere della situazione a pieno. Non avevo mai partecipato ad un’asta e devo ammettere che, con i vari i rilanci, si sentiva adrenalina nell’aria. E si sa che noi atleti viviamo di adrenalina… (ride, nda)».
Le è piaciuto il tartufo?
«Non l’avevo mai assaggiato e sì, mi è piaciuto. Il suo profumo è inconfondibile e ha riempito le sale del castello; il suo sapore, infine, è delicato e unico…».
Nella sua vita c’è un prima e un dopo. Nel prima cosa rappresentava per lei lo sport?
«Prima di avere l’incidente stradale lo sport era già parte essenziale della mia vita. Giocavo in una squadra di pallavolo e sognavo di raggiungere prima la Serie C e poi magari anche le categorie superiori. Ma praticavo anche altre discipline: dal calcio al pattinaggio artistico, al nuoto».
Per la sua vita oltre lo sport cosa immaginava?
«Sognavo di diventare una pittrice e di girare il mondo…».
Poi, purtroppo, ha dovuto fare i conti con un incidente che le ha stravolto la vita. Che suggerimento darebbe a chi si dovesse trovare, da un giorno all’altro, in una situazione del genere?
«Mi sentirei di dire di non abbattersi perché c’è sempre un domani e, se il primo domani non è soddisfacente, ce ne saranno tanti altri in cui costruirsi una vita felice o, per lo meno, in cui trovare un nuovo equilibrio. Le nuove tecnologie possono infatti permettere a chi ha una disabilità di vivere un’esistenza soddisfacente».
Lo sport, peraltro, sembra un palcoscenico adatto più di altri ambiti per il riscatto in seguito a una “caduta”. È d’accordo?
«Sì, perché lo sport ti permette di confrontarti in maniera sana con i tuoi limiti e di superarli un passo alla volta, guidato dalle regole, da un allenatore oppure dal gruppo. E poi la pratica sportiva libera endorfine: ti fa sentire bene e padrone del tuo corpo, ti permette di confrontarti con gli altri in maniera paritaria».
Con gli argenti ottenuti a Tokyo il suo personale palmarès è ancora più ricco. A quale risultato è più legata?
«Sono molto legata all’oro di Rio perché sofferto e bellissimo, conquistato peraltro avendo avuto l’opportunità di conoscere e apprezzare la cultura del paese ospitante. Lo stadio e la gente erano calorosissimi, le aspettative su di me erano alte; in più ero anche la portabandiera della delegazione italiana paralimpica. In Brasile, tra l’altro, ho festeggiato il mio 27esimo compleanno… tra una medaglia e l’altra. Una trasferta meravigliosa che mi è rimasta nel cuore».
Lei oggi fa anche parte del Consiglio del Comitato Paralimpico Internazionale. Non pensa che, per parificare l’importanza tra le Olimpiadi e le Paralimpiadi, la prima e più semplice mossa sarebbe quella di proporre i due eventi, anche a livello televisivo, in contemporanea?
«Credo che dovrebbe esserci più inclusione all’interno dei meeting, nelle tappe di avvicinamento ai grandi eventi, ma non credo che Olimpiadi e Paralimpiadi si debbano disputare nello stesso momento, perché ci sono alcune esigenze logistiche che, secondo me, non permetterebbero una funzionale attività agonistica. Inoltre, gli eventi si moltiplicherebbero e sarebbe complicato per le squadre riuscire a gestire gli atleti. Sono invece d’accordo per quanto riguarda l’aspetto “comunicativo”: i media dovrebbero seguire con lo stesso clamore i due eventi e i giornalisti incaricati di documentare questi appuntamenti dovrebbero essere gli stessi o, comunque, avere lo stesso grado di preparazione».
Quali sono i suoi principali obiettivi per il futuro?
«Vorrei tanto far sì che chi ha una disabilità possa prima di tutto essere considerato come persona. Che si prenda esempio, eventualmente, dalle società più sensibili al tema e si diano gli strumenti giusti affinché ciò accada».