«La montagna per me è poesia. Un ambiente così bello, puro, senza rumori, con gli animali che ti vengono vicino, con la natura che ti parla. Nonostante abbia sempre vissuto la montagna a ritmi altissimi, per via del lavoro, mi ha davvero arricchita tantissimo».
La riflessione, colma di gratitudine nei confronti della montagna, è di Franca Torre, per tanti anni gestore di rifugi montani in valle Gesso, nelle Alpi Marittime cuneesi.
Franca è nata a Genola, ma è braidese d’adozione da quasi 40 anni. Attualmente vive in Alta Savoia, a 45 minuti da Chamonix. «Fino a poco tempo fa potevo raccontare di avere tre case: il Remondino, Bra e l’Alta Savoia», commenta a riguardo.
Come si è innamorata della montagna?
«Sono nata in una famiglia molto semplice, legata alla campagna e alla natura, ma non alla montagna. Nella pianura cuneese hai costantemente le montagne intorno, che ti guardano e ti abbracciano. Ho sempre sognato di sciare, di fare escursioni, di mettere i ramponi ai piedi; insomma l’ho ammirata e desiderata ardentemente. Ci sono andata in gita con la scuola e nel cuore mi era rimasta la voglia e il desiderio di farla mia in qualche modo. Anche e solo semplicemente come luogo in cui passare del tempo».
Un sogno che ha realizzato diventando rifugista, non prima di fare altro, però…
«Per ben 10 anni ho lavorato come educatrice all’asilo nido di Bra. Un’esperienza bellissima, perché i bimbi piccoli sono magici. Nel frattempo ho frequentato sempre più la montagna, iniziando a coltivare l’idea di fare un qualcosa di diverso, per poi capire che volevo provare a gestire un rifugio montano, per vivere la montagna in modo diverso e lavorare in un contesto completamente nuovo. L’occasione si è presentata facilmente: il Cai di Cuneo mi ha dato fiducia e ho iniziato la gestione del “Morelli-Buzzi”, un rifugio piccolo, ma davvero incantevole. Conoscevo bene quel vallone e ho intrapreso un percorso incredibile. Mi sono lanciata con freschezza ed energia incredibili. Al “Morelli-Buzzi” sono stata una decina d’anni, prima di passare al “Remondino”. Quando il gestore del “Remondino”, che era mio amico, ha deciso di lasciare, per me è arrivata di nuovo l’occasione per partire con una nuova avventura, in un rifugio grande e con un notevole afflusso di persone. Era un contesto diverso rispetto al “Morelli-Buzzi”, il quale ha più le sembianze di una casetta di montagna. Per me era tutto nuovo e al tempo stesso molto bello».
Nell’estate del 2022 lascerà ufficialmente il “Remondino”, dopo 17 anni…
«Quando sono andata al “Remondino” avevo bisogno di un cambiamento e di una nuova sfida. Ho cercato di portare lì la stessa empatia e creare lo stesso ambiente del “Morelli-Buzzi”. Professionalmente è stata un’avventura appagante, sia per lo scenario che per le persone incontrate e quelle con le quali ho lavorato. Per molti sono diventata un’amica e un punto di riferimento, famosa per i dolci… Dopo 17 anni al “Remondino” e 27 in totale da rifugista, ho capito che era il momento giusto per passare la mano. Ho piacere di fare altre cose durante l’estate. Forse avrei avuto meno energia per un lavoro intenso come quello. Lascio il “Remondino” a un amico, Pietro Novarino. Lo accompagnerò nell’insediamento e farò una festa di saluto. Io mi dedicherò a corsi di yoga, magari li proporrò in montagna, con l’appoggio di un rifugio. Con mio marito Patrick stiamo costruendo una piccola casetta in legno, vicino alla nostra, in Alta Savoia, che dedicheremo all’ospitalità dei turisti».
Ci spiega il mestiere del rifugista?
«Richiede capacità di accoglienza, competenza e passione. Occorre avere grande attenzione e tatto, nei confronti dell’escursionista e dell’ambiente. Pensare alle provviste, alla manutenzione degli impianti, della struttura, alla cucina, a chiacchierare con i visitatori. Ad esempio, il “Remondino” è girato verso ovest e tante sere ci siamo regalati, insieme al resto dello staff, delle piccole pause guardando il tramonto. Una magia che si ripete ogni giorno, ma che non è mai uguale».