DnAlba è l’espressione coniata per raccogliere tutto ciò che definisce e caratterizza il territorio e gli abitanti di Alba, delle Langhe e del Roero. Nei giorni scorsi, presso il Pala Alba Capitale si è svolto un partecipato momento di riflessione relativo a questo progetto di comunità, che vede coinvolti ben quindici partner del territorio. All’incontro, moderato nella prima parte da Paolo Taricco, responsabile Relazioni Esterne di Banca d’Alba e Chiara Prato, giornalista Rai sono stati illustrati i risultati dell’indagine condotta sull’albesità e le sue forme analizzata in tutte le sue declinazioni, mettendo anche in luce i chiaro-scuri e rifuggendo dall’autocelebrazione.
«Un percorso iniziato cinque mesi fa, quando a giugno si è tenuto il primo incontro di avvio del progetto», ha rimarcato il direttore generale di Banca d’Alba, Riccardo Corino. «Con la parola DnAlba abbiamo voluto rappresentare l’essenza dell’albesità, ossia l’insieme delle caratteristiche peculiari che formano la lunga catena del Dna degli albesi. L’impronta genetica di un territorio: l’identità della nostra zona è, è stata e sarà raccontata attraverso mille strumenti diversi, passando per analisi differenti, partendo dalle nostre radici rurali, culturali, assolutamente ben radicate nella vita comune, nei comportamenti. Senza dimenticare la storia di Alba e del nostro territorio; il conseguente sviluppo industriale della metà del ’900, caratterizzato da grandi capitani d’industria e da un’imprenditoria diffusa, dinamica. In questa analisi non possono mancare altri valori basati su elementi culturali che hanno avuto l’onore di annoverare teologi, artisti, scrittori, personalità che hanno portato il nome di Alba nel mondo. DnAlba è partita da queste considerazioni volgendo però la sua attenzione ad altri elementi che pervadono la nostra comunità, attraverso l’analisi di quei grandi leganti che sono la base per continuare a migliorarsi».
Particolare ed interessante si è rivelata l’analisi di Filippo Barbera, sociologo dell’economia e dei territori, che ha esposto la sua peculiare prospettiva dell’albesità sulla base dei lavori svolti dai partners, senza aver mai avuto contatti con loro in modo da non esserne influenzato nel giudizio.
«Faremo insieme un ragionamento legato al materiale raccolto, provando a interpretare e leggere tra i chiaro-scuri del DnAlba e il suo doppio. Basando l’analisi su tre dimensioni: cittadinanza ascrittiva, cioè quello che si è e la cittadinanza performativa quindi ciò che si fa. Con l’idea che Albesi non tanto si nasce, lo si diventa in un territorio che è strutturato da una dimensione caratterizzata in parte dal privatismo, ma anche da uno sguardo pubblico importante. E poi esiste una terza dimensione che è strutturata da un continum tra la monocultura e l’eterarchia, ossia l’idea di dar spazio alle voci marginali, che in realtà determinano la biodiversità di un territorio. Analizzando il DnAlba in chiaro-scuro, “Albesi si diventa” attesta la propensione a prendersi cura dell’albesità, produrre e riprodurre insieme ad altri e nello spazio pubblico i tratti comuni e condivisi dell’essere albesi. “Albesi non si nasce”, sottolinea invece che la cittadinanza non è solo un insieme di diritti astratti, è anche la messa in pratica di questi diritti. È un insieme di pratiche sociali che mandano segnali a chi ci osserva e, nel fare ciò, confermano o creano valore e appartenenze comuni. La ricchezza di un paese è la sua diversità, che è una diversità tra territori ma anche interna a questi ultimi e che va valorizzata. E che ha nella Pantalera il suo paradigma: spazi pubblici dove le attività si fanno insieme, avendo così la capacità di aspirare collettivamente ad un progetto comune. Ballando, secondo il sociologo, Durkheim intorno ad un totem, che per voi è una bottiglia di Barolo, il tajarin, il tartufo bianco, le colline, l’eredità letteraria e testimoniando tutto ciò in piazza e riproducendo così il senso dell’albesità».
Barbera ha poi posto l’accento sul rischio delle monoculture, denunciato qualche tempo fa anche da Carlin Petrini e sottolineando: «occorre uscire dalla propria confort zone e immaginare scenari futuri, progettando quale sarà la situazione tra 10-20 anni. Ecco perché serve una concezione pubblica del valore che nasca dall’attrito generativo e dalla frizione tra ciò che è centro e ciò che è periferico. Per concludere Albesi si nasce e Albesi si diventa, ma è importante accettare di possedere un mix di fortune a cui è importante sommare condizioni per continuare a meritarsi questa miscela anche in futuro. Gli ambienti cambiano in fretta, ma la capacità di mantenere intatta la diversità resta fondamentale. Il DnAlba esiste come progetto, come identità collettiva di un territorio… ma occorre non smettere di coltivarla!».