Quella serata di dieci anni fa, al Teatro Sociale di Alba assieme al maestro Mogol, per l’anniversario della Rivista IDEA, Luca Damiani non l’ha dimenticata. «E come potrei? Prima di tutto, mi considero un vero e proprio fan del tartufo: Alba, in questo senso, è il centro del mondo. E poi Giulio Rapetti è uno degli autori musicali più straordinari, di cui mi onoro di essere amico. Fu un’occasione bellissima, cantammo dal vivo. Il ricordo è anche olfattivo. Quando entrai in un locale che serviva piatti al tartufo, ebbi una specie di shock anafilattico».
Damiani ha mille talenti. Queste prime righe ne hanno svelati appena due, nel campo dell’enogastronomia e nella musica. Ma non sono gli unici. È vero, è salito agli onori delle cronache anche per vicende amorose che si sono concluse con la brusca interruzione della sua relazione con Elena Sofia Ricci. Sono passati molti anni e Luca ammette: «Ormai ho una certa età, ho figli grandi e una vita non più affollata. Credo che per innamorarsi ci sia bisogno prima di tutto di ormoni e poi di quel senso di illusione, di credere nell’altro/altra per magari scoprire un’altra verità. Alla mia età, meglio rallentare. Prima, amavo anche gli oggetti: avevo qualcosa come 14mila dischi in quattro stanze. Poi, con l’arrivo degli mp3, ho cominciato a distaccarmi dalle cose. E dalla passione. Ma non dall’amore».
C’è anche l’attrazione della cucina, per dire. «Per me è cultura. In Italia siamo al top. Sapevate che abbiamo 900 tipi di formaggi contro i 600 dei francesi? La cucina è una questione italiana, come del resto la musica. Dal Cinquecento all’Ottocento la musica ha parlato solo italiano, da Vivaldi a Benedetto Marcello». E ci sono anche la radio (è voce inconfondibile di “Sei gradi” su Rai Radio 3) e la scrittura. Damiani è pure autore di libri. «L’ultimo è del 2018, si intitola “Pow”, “Prisoner of War”. Parla di mio padre. Ma anche in questo caso, invecchiando, si cambia. Ora mi interessano sempre di più i saggi, piuttosto che i romanzi».
Torniamo alla cucina, spaziamo tra le sue passioni. Dice di essere un fan della cucina piemontese, pur arrivando dalla sfiziosa Toscana. È possibile? «Certo, la mia regione ha materie prime eccellenti, l’olio migliore in assoluto, superiore a quello pugliese, che una volta era usato per le lampade. Ma è una cucina essenzialmente popolare: la pappa col pomodoro, la ribollita. Oppure il contrario: la bistecca fiorentina era esclusiva dei nobili. Manca la varietà piemontese, la bellezza di una cucina alta e bassa, ricca e povera al tempo stesso. Per me è eccezionale. Il Piemonte è al top e lo considero primo fra tre grandi cucine che, guarda caso, sono tutte di confine. L’altra è la cucina altoatesina con i suoi sapori agrodolci, antichi, popolari e di recupero, con i canederli per esempio. Infine, c’è la siciliana, espressione della più grande cultura italiana».
Personaggio da (ri)scoprire, Damiani. «E pensare che ho studiato da architetto». Ma veramente? «Sì, ma ho capito subito che in Italia avrei avuto poco spazio, eravamo in troppi, e allora mi sono dedicato alla musica». Se in letteratura con l’età si apprezzano i saggi, in musica ci si innamora della classica? «Io amo tutta la musica, la storia della musica. E anche da giovane ho ascoltato i classici. Che brividi per Bach! In generale, non mi interessava la musica priva di contenuti, neanche nel rock. Ho amato i King Crimson di Robert Fripp, ad esempio, mentre ho visto spesso in concerto Bruce Springsteen, ma alla fine non mi trasmetteva più di tanto». In un modo o nell’altro, con Luca Damiani stiamo parlando pur sempre di questioni culturali. È da qui che si passa per cambiare il mondo? «Ogni rivoluzione è sempre, prima di tutto, culturale. Se vuoi spingerti a un livello superiore, non c’è che la strada della cultura (oltre alla politica, d’accordo). Ma più ne sai e più sei potente».
A proposito di passioni, di tempo che passa e di maestri di cultura: viene in mente Franco Battiato. Che dice Damiani di questo abbinamento? «Azzeccato. “La cura” è un brano meraviglioso e parla di puro amore. Ma ripeto che a me piace tutta la musica. Sì, anche i Maneskin. Sono molto bravi. D’accordo, li avevamo già visti in David Bowie o i Cugini di Campagna, ma sono bravi. Specialmente sul palco. Altrimenti non sarebbero mai arrivati da Jimmy Fallon».