Uno dei periodi più neri per la storia dell’umanità, caratterizzato da una pandemia che fatica ad andarsene, potrebbe invece diventare storico per il mondo del tartufo. Tra il 13 e il 18 dicembre, a Parigi, il comitato dell’Unesco preposto dirà se la “cerca” e la “cavatura” del tartufo in Italia è stata ammessa (o meno) alla lista dei beni immateriali riconosciuti come patrimonio dell’umanità. Un verdetto molto atteso, attorno al quale c’è parecchio ottimismo.
Le buone aspettative sono assolutamente giustificate, dato che l’Unesco si è fatto sfuggire quella che potrebbe essere un’anticipazione del pronunciamento, pubblicando sul proprio sito una nota in cui l’Organismo Tecnico esprime parere favorevole all’iscrizione. Insomma, una sorta di mezzo “sì”, per il quale ora si attende la conferma definitiva. Sarà l’ultimo passaggio di un percorso quasi decennale che già nel marzo 2020 aveva vissuto un momento molto importante, quando cioè la Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco aveva concesso il proprio benestare alla candidatura che porta la firma dell’Associazione Nazionale Città del Tartufo e della Federazione Nazionale Associazione Tartufai Italiana e che conta sul coordinamento del Ministero della Cultura e sulla collaborazione delle 14 regioni italiane tartuficole. In seguito, il dossier di candidatura “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali”, nato dall’idea dell’allora presidente del Centro Nazionale Studi Tartufo di Alba Giacomo Oddero, era stato trasmesso al Segretariato Unesco di Parigi per l’analisi e la valutazione finale, prevista, appunto, nei prossimi giorni. Ha giocato un ruolo significativo lo studio di ricerca antropologica condotto dai docenti universitari Piercarlo Grimaldi e Gianfranco Molteni (quest’ultimo purtroppo scomparso nei mesi scorsi) che, di fatto, ha completato e arricchito quello che è, senza dubbio, il più ampio lavoro di catalogazione finora mai realizzato in questo ambito. Tutto ciò senza dimenticare il materiale filmografico prodotto da Remo Schellino. Tra le persone più attive nella promozione della candidatura c’è l’albese Antonio Degiacomi (riquadro sopra, a sinistra), presidente del Centro Nazionale Studi Tartufo. Alla Rivista IDEA ha dichiarato: «In attesa del verdetto, torna alla mente il grande lavoro che abbiamo svolto in questi nove anni. Si tratta di un’attività che, al di là della candidatura in sé, ha coinvolto e allineato alcune decine di soggetti, consentendo di documentare come mai accaduto prima una tradizione secolare, praticata e tramandata dai “trifolao” su buona parte del territorio nazionale. Questo percorso ha aiutato ad accrescere la sensibilità nei confronti dei temi essenziali per la valorizzazione del tartufo in chiave culturale, ovvero ambiente, tradizioni, sostenibilità. L’eventuale riconoscimento ci investirà di ulteriori responsabilità, richiederà continue iniziative e attività per divulgare e tutelare questo immenso patrimonio. Penso alla manutenzione delle tartufaie, alla messa a dimora di alberi tartufigeni, alla sensibilizzazione di turisti e studenti. Sarà impegnativo, ma è ciò che occorre e volevamo. Siamo pronti». E, allora, incrociamo le dita!
«Un tesoro dal valore culturale inestimabile»
In arrivo il verdetto sulla candidatura di “cerca” e “cavatura” del tartufo a patrimonio Unesco. Ne parla l’albese Antonio Degiacomi