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Un destino malvagio

Con incredulità e dolore la comunità albese ha appreso della morte, nel modo più tragico, di uno dei suoi figli più brillanti. Davide Giri, a new york per un Master in Ingegneria e Scienze Applicate alla Columbia University, è stato accoltellato a morte mentre rincasava

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Il destino sa essere malvagio, lacera sogni e addolora ricamando coincidenze; permette che un cammino tranquillo s’intinga nel sangue solo incrociando una vita giusta con una perduta, senza valori né pietà. Immagineremo mille volte, inutilmente, una deviazione, ci macereremo tra “se” destinati al nulla: se Davide Giri fosse uscito prima, se avesse tardato un poco, se fosse rimasto a casa, se avesse scelto un percorso diverso. O se avesse mancato l’appuntamento con la sorte Vincent, il suo assassino. Gioventù opposte, scelte opposte, radici opposte. Convogliate dal fato in un punticino della sterminata New York, dove Vincent s’aggirava senza meta con il suo mantello di violenza e delinquenza e odio, non diciamo emarginazione ché non merita alibi, e Davide completava studi e implementava esperienze, preparando una vita fedele alle promesse fatte a se stesso.
Era di Alba, Davide. Era uno di noi. Aveva soltanto trent’anni. I grandi media ci hanno descritto i suoi studi brillanti, la laurea al Politecnico di Torino e il dottorato, la scelta della Grande Mela per un Master in Ingegneria e Scienze Applicate alla Columbia University dopo le tappe alla Tongji University di Shanghai e all’Università of Illinois di Chicago; noi vi raccontiamo di un bambino cresciuto in queste strade, di un ragazzo generoso, di uno studente uscito dai banchi del Liceo Scientifico Cocito dove anche molti di noi sono passati, impegnato nelle parrocchie di Santa Margherita e Mussotto, sensibile, legato agli amici di sempre, nonostante le strade diverse intraprese; un riferimento benché caratterialmente riservato. Amava molto le materie umanistiche, ma per quelle scientifiche aveva un’inclinazione speciale, forse ereditata da papà Renato, docente di matematica e fisica che ha appreso della tragedia mentre faceva lezione, distrutto come mamma Giuseppina e i fratelli Caterina e Michele.
Vincent, 25 anni di cui tre passati in galera, è del Queens e fa parte di una gang, è stato arrestato undici volte ed era in libertà vigilata: ha incrociato per caso Davide ad Harlem, a due passi dall’università, mentre rincasava da un allenamento con la squadra di calcio di cui era punto di forza e non è escluso l’abbia accoltellato solo per superare una prova di forza all’interno d’un maledetto gruppo criminale, dopo ha ferito un altro giovane italiano e poi ha tentato una terza aggressione. Davide s’è trovato lì, portato dal destino, e ha visto una lama brillare senza sapere perché, forse nemmeno ha avuto tempo per la paura, per mormorare una preghiera, per abbozzare una difesa. Non ha mai raggiunto la sua stanza al College, la numero 467 del Computer Science Building, e non tornerà più a Scaparoni, la frazione dove la famiglia viveva, non completerà mai gli studi di filosofia e design applicati alle scienze, non aiuterà più in parrocchia e non tiferà Inter, non sorriderà. Ce lo restituiranno in una bara, lui che aveva tanta voglia di vita, e quel suo viso bello con la barba castana non sarà mai solcato da rughe. Ingiusto. Bastava un pizzico di ritardo, un filo d’anticipo, un impegno improvviso, un lampo d’umanità nell’assassino. Pensieri vuoti davanti a un vuoto enorme, senza risposte o con una risposta sola: il destino sa essere malvagio.