«Serve consapevolezza green per un vero cambio di rotta»

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Alessia Bertolotto, a capo di Marcopolo Environmental Group è un’amica e anche un’attenta imprenditrice. Chiacchierare con lei è un viaggio sempre interessante alla scoperta del campo delle energie rinnovabili, dell’ecosostenibilità e dell’economia circolare.

Di cosa parliamo oggi?
«Di cosa possiamo parlare? (ride, ndr). Vorrei partire, dando ai lettori di IDEA alcuni importanti dati relativi al settore green italiano. Per prima cosa, una notizia inaspettata: l’Italia è leader in Europa nell’economia circolare. I dati Eurostat, infatti, mostrano che la percentuale di riciclo dei rifiuti della Penisola è pari al 79%. Dietro, la Francia al 56%; il Regno Unito al 50% e la Germania al 43%. Si poteva immaginare? In verità, quando si parla dell’Italia, troppo spesso lo si fa considerandola sempre il fanalino dell’Europa, ma non è per nulla così e i dati parlano chiaro. In cinque anni (2015-2019), le imprese italiane dell’industria e dei servizi con dipendenti che hanno investito nell’economia verde hanno subito un incremento, passando da 345 mila, del quinquennio precedente, ad oltre 432 mila. La regione che si è attestata il primato è la Lombardia: quasi 78 mila imprese hanno impiegato risorse in prodotti e tecnologie green».

E questo come è stato possibile?

«L’Italia, essendo un gran Bel Paese con tante risorse paesaggistiche, culturali, artistiche, d’ingegno, d’enogastronomia a 360 gradi, industriale e artigianale…ma con poche risorse minerarie, ha da sempre dovuto comprare queste ultime a caro prezzo (energia compresa). Ed è lì che è nato il primo riciclar mondiale soprattutto in Lombardia e nelle aree portuali, dove bravissimi operai si portavano a casa gli sfridi delle produzioni e da lì sono nati nuovi prodotti ed anche i macchinari per produrli. Così dai cartacei, i legnosi, i vetri, le plastiche, i tessuti, le biomasse, i metalli, sono nate le industrie del riciclaggio e le industrie dei macchinari del riciclaggio. Poi le aziende del Bel Paese e soprattutto le Pmi, nonostante il periodo di crisi, dovuto alla pandemia da Covid-19, intendono investire nei prossimi tre anni sulla sostenibilità. Inoltre, le imprese “verdi” nel corso del 2020 hanno subito delle perdite inferiori rispetto alle altre. Sono anche le più ottimiste rispetto al futuro: sono convinte di recuperare in un biennio i livelli di attività pre-crisi. Bisogna considerare che sono anche le aziende che innovano di più, investendo maggiormente in R&S e in tecnologie e competenze 4.0. Una componente importante delle imprese under 35 (il 47%) ha puntato sulla green economy negli ultimi tre anni. Ciò fa comprendere che, nel futuro, avrà sempre più importanza il business legato al rispetto dell’ambiente e allo sviluppo tecnologico. Anche a livello globale, l’Italia è capofila anche nel campo della chimica verde e sostenibile e delle bioplastiche, soprattutto per quanto riguarda la ricerca e l’innovazione. La crescita ha interessato anche il mondo del lavoro: i green jobs hanno raggiunto quota 3 milioni nel 2018, mentre l’occupazione green è aumentata rispetto al 2017 di oltre 100 mila unità (+3,4%)».

Più volte però lei ha espresso le problematiche legate ai lunghi iter autorizzativi per gli impianti di produzione di energia pulita o biometano. Come si sposa ciò con i super dati illustrati?
«L’iter per produrre un prodotto “green” e/o per fare uno stabilimento produttivo per produrre beni ecosostenibili è relativamente semplice e rapido (e questi rappresentano i super dati di cui sopra); invece gli impianti industriali che devono essere autorizzati per poter iniziare a produrre energia verde e/o biometano devono seguire iter lunghissimi con troppi enti preposti al controllo che si devono esprimere… E si devono, tra l’altro, esprimere su tecnologie che sono a favore dell’ambiente, che l’inquinamento lo tolgono e non lo creano, mentre invece questi impianti hanno lo stesso iter di quelli industriali che l’inquinamento lo creano… Quindi su tale aspetto siamo molto indietro rispetto all’Eu­ropa e se continuiamo così i reali problemi non li risolviamo».

Invece a livello europeo cosa succede?
«Per il ciclo 2021-2027, l’Unione Europea ha stanziato 115,4 miliardi di euro per R&I (ricerca e innovazione) e agenda digitale, quindi un ottimo risultato! Peccato che poi i Grandi della Terra non hanno saputo dare una risposta tanto convincente alla recente Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, conosciuta anche come Cop26, ovvero la XXVI convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si è tenuta a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre 2021, sotto la presidenza del Regno Unito».

Un momento decisivo nella lotta ai cambiamenti climatici. Che cosa è successo?

«A novembre il Regno Unito, insieme all’Italia, ha ospitato un evento che molti ritengono essere la migliore, nonché ultima, opportunità del mondo per tenere sotto controllo le conseguenze devastanti dei cambiamenti climatici. Da quasi tre decenni l’Onu riunisce quasi tutti i Paesi della terra per i vertici globali sul clima. Da allora il cambiamento climatico è passato dall’essere una questione marginale a diventare una priorità globale, un accordo su co­me affrontare i cambiamenti climatici. I circa 200 Paesi riuniti alla Cop26 hanno adottato il “Patto di Glasgow” per accelerare la lotta ai cambiamenti climatici e delineare le basi per il suo finanziamento futuro, ma il testo è stato “annacquato” con un compromesso nel passaggio che riguarda la fine del carbone, perché l’India è riuscita a ottenere un cambiamento all’ultimo minuto».

Un bel traguardo…
«L’intervento per chiedere di sostituire nel testo la formula “phase-out”, cioè “eliminazione graduale” del carbone, inserendo l’espressione “phase-down”, cioè “riduzione graduale”. La proposta è passata a beneficio del pacchetto complessivo. È stata però una vittoria debole perché abbiamo mantenuto 1,5 gradi a portata di mano (lo sforzo per mantenere il surriscaldamento climatico entro il limite considerato come massimo per evitare catastrofi). È stato un compromesso che non basta, che riflette gli interessi, le contraddizioni e lo stato della volontà politica nel mondo di oggi. È un passo importante, ma non basta. È ora di entrare in modalità di emergenza. La battaglia per il clima è la battaglia delle nostre vite e quella battaglia deve essere vinta».

Alessia, le pare questa possa essere una “sfida” vincente?
«Mi lascia ben sperare la consapevolezza che tutti noi stiamo raggiungendo. La missione per il futuro è chiara: oggi il tema della circolarità ambientale deve essere al centro. Ma, perché ciò accada, serve un cambio di rotta. In primo luogo, è necessario fare squadra tra tutte le realtà pubbliche e private coinvolte e allo stesso tempo è fondamentale uno snellimento delle procedure, per velocizzare i test autorizzativi degli im­pianti e spingere l’acceleratore verso un futuro davvero sostenibile. Inoltre, il Covid ci ha cambiato la vita, ma ci ha dato anche tante nuove opportunità, perché eravamo tutti nella fase di “bisogno” e quindi ci siamo ingegnati. Sul lungo periodo le imprese che sopravviveranno a ciò che ci riserverà il futuro saranno quelle che sapranno cambiare pelle molto velocemente e quelle che sapranno reinventarsi dall’oggi al domani in un click; quelle che invece rimarranno radicate ai vecchi clichè, ai vecchi privilegi e modi di fare impresa saranno destinate a soccombere».

Cosa invece vede come meno “vincente” ad oggi?

«L’incertezza. Per il modo del lavoro, innanzitutto lo Stato deve legiferare bene, in modo chiaro e non interpretabile; lo Stato così poi si può applicare al controllo, facendo anche meno l’imprenditore. Poi ag­giungo due cose fondamentali: tasse coerenti e Diritto veloce e certo. Inoltre lo Stato dovrebbe diventare, sotto questo punto di vista, un po’ americano. Quindi, in America, in base a regole già scritte per ogni settore il tuo impianto lo inizi subito e poi vanno a controllare se è conforme e se ci son piccole difformità ti danno un tempo per correggere, se invece hai fatto il furbo arrivano le ruspe! Qui ti fanno fare degli iter autorizzativi infiniti e non sai mai se poi alla fine il tuo impianto potrà partire facendoti perdere il momento buono del nuovo sviluppo. Cosa altro devo aggiungere?».

Quale è il progetto lavorativo a cui tiene maggiormente in questo momento?
«Più che un progetto, la mia è davvero una missione di vita. Insieme alla mia famiglia e splendidi collaboratori porto avanti un gruppo di aziende che operano nella green Economy (Marcopolo Environ­mental Group). In poche parole facciamo ciò che finalmente è venuto dai giovani con il Greta pensiero. Non inquinare, decarbonizzare, recuperare facendo economia circolare con produzione di energia elettrica verde, biometano, biotecnologie e prodotti ecosostenibili e questo ci rende fieri perché valorizziamo sostenibilmente gli scarti trasformandoli in risorse e questo lo facciamo fin dal 1978. Con il nostro mestiere mitighiamo questo grande problema ambientale che si sta facendo sempre più pressante, ma solo oggi percepiamo che qualcosa stia cambiando nella mentalità delle persone e che quindi si sta creando quella necessaria consapevolezza ambientale. Vi garantisco che se non ci credessi fermamente avrei già cambiato mestiere da tempo. Il trend futuro non potrà che essere green se realmente vogliamo preservare la nostra stessa esistenza. E affinchè ciò avvenga, bisogna lottare e crederci».