«Alla base di tutto c’è il forte legame con la mia terra»

Il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio a 360 gradi tra impegno politico e famiglia

0
286

Una strada per evadere dalla pressione psicologica che esercita il Covid esiste ed è alla portata di tutti. Si tratta di una soluzione semplice ma non scontata, perché, a ben guardare, richiede una certa predisposizione. La “via di fuga” che sembra indicare il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio consiste nel riavvicinarsi alle proprie radici, a quelle terre che rappresentano la nostra “piccola patria”.

Presidente Cirio, partiamo dalla pandemia. Come giudica la gestione piemontese dell’emergenza?
«Non posso che esprimere soddisfazione. Come certificano i numeri, siamo tra le regioni italiane “bianche” e tra le migliori a livello europeo».

Il motivo?
«Una combinazione di fattori: il fatto che i piemontesi abbiano interpretato questo anno con rigore e prudenza, rispettando le norme di prevenzione, e in parallelo l’efficacia della nostra campagna vaccinale. Ne vado molto orgoglioso, visto che la sto seguendo in prima persona. Ma la chiave è una sola…».

Quale?
«Il vaccino. Non dobbiamo dimenticare che dodici mesi fa avevamo il Paese chiuso: non si andava al ristorante, in pizzeria, al cinema, al teatro, allo stadio e nemmeno a sciare. Oggi i contagi sono il 60% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, ma i ricoveri in ospedale sono sei volte meno. Segno, appunto, che il vaccino funziona».

Quale insegnamento possiamo trarre?
«A livello sanitario, la pandemia ha fatto emergere una grave criticità, ossia le carenze della nostra medicina territoriale. A volte è come se tra l’ospedale e le abitazioni dei piemontesi non ci fosse un “filtro”. Curiamo troppo poco i pazienti a casa propria».

Perché?

«In passato, su questo fronte, si è investito troppo poco. Ed è per questo motivo che ora intendiamo realizzare 80 case di comunità: queste strutture e un’implementazione del sistema organizzativo che coinvolge i medici di medicina generale creeranno le condizioni affinché la medicina territoriale piemontese possa tornare a vivere e a essere efficace».

In campo economico, qual è l’intervento “post Covid” che la rende maggiormente orgoglioso?
«La primavera scorsa abbiamo erogato quasi 140 milioni di euro di risorse regionali a favore di bar, ristoranti, parrucchieri, estetisti, negozi, attività commerciali, maestri di sci, professionisti del settore dello spettacolo. E lo abbiamo fatto in nemmeno un mese, attraverso un meccanismo, improntato sulla fiducia, che garantiva denaro pubblico a chi ne aveva realmente bisogno aggirando gli ostacoli della burocrazia. Il destinatario del contributo riceveva un messaggio di posta elettronica certificata in cui era presente un modulo che doveva compilare e in tre giorni si vedeva accreditare la somma sul conto corrente. Abbiamo dimostrato che la burocrazia si può sconfiggere. Basta volerlo…».

Burocrazia a parte, cos’ha significato questa misura?
«Abbiamo permesso a tante attività e a tanti professionisti di non cessare l’attività e, soprattutto, abbiamo fatto sentire meno sole molte persone. E questa la ritengo una cosa straordinaria».

In che modo, invece, avete sostenuto il “mondo neve”?

«Con diversi provvedimenti. Appena un mese fa, abbiamo deliberato sostegni per una cifra complessiva di 20 milioni di euro da destinare alle attività legate all’impiantistica invernale, ma anche ai negozi che vendono beni strettamente connessi a chi frequenta la montagna. Abbiamo poi anche aiutato i maestri di sci, aggiungendo un nostro contributo a quello stanziato dallo Stato. Ma l’azione più significativa è stata lavorare in sinergia con il ministro Garavaglia, che ci tengo a ringraziare pubblicamente, per scrivere le regole propedeutiche alla ripartenza di queste attività, ormai inchiodate al palo da troppo tempo».

Anche il sostegno alle manifestazioni è stato utile?

«Assolutamente sì! Si è organizzata, ed è anche stata portata a termine, la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba; si sono svolti Cheese, il Salone del Libro, le Atp Finals. Abbiamo ospitato la partenza del Giro d’Italia».

Crede molto nei grandi eventi…

«Lo faccio da sempre e oggi ancora di più. Soprattutto per due motivi: dare un segnale di ripartenza e invertire una tendenza».

Ce la illustri…
«Un tempo le manifestazioni “scappavano” da Torino e dal Piemonte, oggi, invece, fanno il percorso inverso. Guardando al prossimo futuro penso, oltre alle Atp Finals di tennis, all’Eurovision Song Contest, alle Universiadi, agli Special Olympics. E se il nostro mandato fosse iniziato prima ci saremmo battuti pure per le Olimpiadi Invernali… Non avrei permesso che le montagne piemontesi rinunciassero in partenza a un’opportunità del genere».

Citava il tartufo. Proprio in questi giorni, la cerca e la cavatura del “tuber” sono state iscritte nella lista dei beni immateriali tutelati dal­l’Unesco. Cosa significa per lei andare alla ricerca di un tartufo?
«Un’emozione bellissima. Io sono per metà di Roddino e per metà di Sinio: oggi quei luoghi, con la crescita del vino Alta Langa, sono diventati interessanti anche dal punto di vista enologico, ma un tempo ospitavano solo boschi, che amavo, e amo tuttora, vivere appieno. Li ritengo un elemento imprescindibile. Sa, peraltro, che sono stato il primo firmatario dell’attuale legge regionale sulla cerca e commercializzazione del tartufo? All’epoca, avevo voluto fortemente inserire anche l’articolo sulla tutela del benessere animale… E sì, perché quello che si crea tra “trifolao” e cane è un rapporto quasi mistico».

A fare la fortuna delle nostre colline non sono stati solo il tartufo e i vini, ma anche e soprattutto le aziende. Come spiega questo successo?
«La provincia di Cuneo, storicamente, veniva considerata come un territorio marginale, quasi francese, lontano dall’Impero che contava… Si pensi solo a certe battute che circolavano nei salotti romani… Ebbene, questa situazione di svantaggio ha reso le nostre aziende particolarmente forti. Non bastava infatti che fossero efficaci ed efficienti come quelle milanesi o della Brianza, ma dovevano anche essere più brave, dovevano saper colmare anche un gap infrastrutturale. È così che si sono forgiati imprenditori forti e capaci, con il concetto di responsabilità sociale nel sangue. A ciò si è aggiunta una classe politica che ha sempre fatto prevalere gli interessi di territorio e non quelli di partito».

A proposito di politica, lei come si colloca nel contesto attuale?
«Continuo a essere un moderato liberale e sono molto soddisfatto della posizione assunta dal mio partito, Forza Italia, in fatto di vaccini e di sostegno al premier Draghi. Sono convinto che l’area politica a cui appartengo avrà un grande futuro, perché è la stessa di Draghi, è quella della competenza, dell’europeismo, dello studio, della moderazione, del buonsenso».

Vorrebbe quindi che fosse Berlusconi il prossimo presidente della Repubblica…
«Serve un confronto con tutto il centrodestra, ma sarei certamente onorato di poter scrivere il suo nome sulla scheda…».

Ma lei come si è avvicinato alla politica?

«Negli anni delle superiori, facevo la guida turistica: accompagnavo i visitatori alla scoperta del nostro territorio, raccontando, sui pullman venuti dall’estero, quanto fossero belle le nostre colline, quanto buono fosse il nostro vino, le storie sulle “masche”… Da lì ho iniziato a occuparmi di turismo e poi è arrivata la politica, proprio come opportunità per favorire la promozione del territorio a cui ero e continuo a essere tanto legato».

Ai suoi figli consiglierà la carriera politica?

«L’impegno civico non si può consigliare. È un fatto spontaneo, naturale. La cosa che mi preme di più è insegnare loro ad amare la terra dalla quale provengono, proprio come capita a me. Appena ho un momento libero torno a Sinio o a Roddino e penso che lì c’era mio papà, c’era mio nonno, c’è la mia storia. Sono emozioni che riscaldano il cuore».

Cosa sognano i suoi figli?
«Il più grande, Emanuele, come il nonno, il padre di mia moglie Sara che lavora nel settore, vuole fare il medico. Per questo ha scelto il Liceo Classico a indirizzo Biomedico. Ne vado orgoglioso. Carolina, invece, vorrebbe frequentare il Liceo Artistico e poi il Dams. Vuole occuparsi d’arte, le piacciono molto anche il teatro e il cinema. Sono i suoi sogni e glieli lascerò vivere».

Nel suo, di futuro, c’è la carriera di corilicoltore? Come vanno le cose?
«Molto bene! (ride, nda) Sono un imprenditore agricolo professionale e porto avanti quest’attività nel ricordo dei miei nonni che erano entrambi contadini. E poi le nocciole sono figlie di questa terra, proprio come lo sono io…».

Chiudiamo con un augurio per il Natale e il nuovo anno…

«L’augurio è che finisca ciò che è iniziato nel febbraio del 2020. La pandemia può e deve finire. Pertanto, rinnovo l’invito a vaccinarsi: è segno di fiducia nei confronti della scienza, dello Stato e delle istituzioni, ma prima di tutto è un gesto di rispetto verso la vita».