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«Le aziende cuneesi sono autentici capolavori»

Le imprese della Granda analizzate dal presidente del Club Dirigenti Vendita e Marketing Paolo Silvestro

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Mentre il giornale arriva in edicola e ai tantissimi ab­bo­nati, Pao­lo Sil­ve­stro, presidente del Club Dirigenti Vendita e Mar­ke­ting della Provincia di Cuneo, il Cdv&M Cuneo, è già in Africa: lo abbiamo intervistato prima che salisse sul volo per la Repubblica Cen­tra­fri­cana, dove si reca ogni anno per realizzare progetti di volontariato.

Silvestro, com’è nato questo suo legame?
«Collaboro da molti anni con il missionario carmelitano cuneese padre Aurelio Gaz­ze­ra, che vive a Bouar ed è responsabile Caritas per la Diocesi di Bozoum: qui è stato possibile fondare le scuole, dal­l’asilo fino al liceo, una scuola di formazione meccanica, e anche dare vita al più importante evento del Pae­se, la tradizionale Fiera Agri­co­la di Bozoum, che giunge quest’anno alla 17a edizione. Si ter­rà dal 21 al 23 gennaio: non posso mancare».

Quanto si fermerà?

«Un mese. Poi tornerò dalla mia famiglia, che è formata da mia moglie, Chiara, e da sua figlia. E dal nostro cane, un labrador color cioccolato di nome Moka».

Ad aspettarla ci sarà anche il suo lavoro come consulente d’azienda…

«Si tratta di un cambiamento radicale rispetto al mio percorso di studi e lavorativo pre­cedente. È scaturito dall’opportunità che mi dà questo settore di esprimere al meglio la mia creatività».

È questo il suo segreto?
«Ognuno di noi è fatto a modo suo: non esistono due persone uguali, seppur magari svolgano lo stesso lavoro. Io provengo da una famiglia molto creativa dalla parte materna: mio nonno, Paolo Panero, era pittore della Diocesi di Sa­luz­zo. Tra l’altro, ha restaurato la cappella di San Giovanni e ci sono in giro ancora molte sue opere. Dal canto suo, zia Ma­risa Panero è stata artista nei settori della pittura, della scultura e in quello letterario: un po’ di sangue buono c’è. La creatività è ciò che mi permette, soprattutto con gli studenti, ma anche in Re­pub­bli­ca Centrafricana, di tra­smettere al meglio le in­formazioni che voglio esprimere, come un ponte fra esperienza e umanità».

Parliamo del Cdv&M che nel 2018 ha festeggiato trent’anni di attività: quali sono i suoi obiettivi principali?
«Il Cdv&M è una libera associazione aperta a tutte le persone che sentono il desiderio di confrontarsi, discutere e costruire qualcosa nel campo allargato del marketing e della vendita. Gli associati sono liberi professionisti, alte cariche aziendali, docenti uni­versitari, studenti e re­spon­sabili di medie aziende del settore: attualmente sia­mo una sessantina di soci iscritti non solo della Granda ma anche dell’Astigiano e del Torinese. L’obiettivo che ci po­niamo è di crescere professionalmente grazie alla condivisione delle esperienze di ciascuno di noi, attraverso momenti di confronto, progettazione e scambio che dall’inizio della pandemia si sono trasferiti sul digitale: è venuta meno la parte più bel­la, quella dell’incontro, ma non ci siamo mai fermati».

In cosa consistono le vostre attività associative?
«Di solito c’è un focus su tematiche ben delineate: ad esempio, di recente, abbiamo organizzato e seguito corsi di neuromarketing e gestione del tempo. Spesso siamo ospiti di aziende che ci invitano per illustrarci come af­frontano certe tematiche o sviluppano nuovi progetti sui vari mercati. Essendo i membri del gruppo così eterogenei, beneficiamo della varietà e ricchezza di possibilità di scoprire diverse realtà aziendali. Abbiamo a cuore la formazione anche dei nuovi manager: tutti gli anni programmiamo un ciclo di in­contri intitolato “Il gigante e la bambina”, visto che invitiamo a raccontarsi imprese grandi e piccole, e insieme al Campus di Management ed Economia dell’Università di Torino, sede di Cuneo, e De­loitte, organizziamo l’Os­ser­vatorio delle Idee che invita gli studenti a cimentarsi con progettualità innovative».

Come se la sono cavata le aziende del Cuneese durante l’emergenza Covid?
«È venuta fuori la loro creatività. Possiamo paragonare la pandemia al trovarsi di fronte un cantiere sulla strada, con scritto: “Qui non si passa”. A quel punto o si inventano nuove strade o si resta bloccati. Le attività hanno dovuto prendere atto delle numerose difficoltà causate dalla carenza di materie prime e ritrovare elasticità nella progettazione, nella produzione e nel rapporto con il cliente finale. Siamo un territorio fortissimo e, a mio avviso, non siamo nem­­meno consapevoli del po­­tenziale. Alla base ci sono un’idea corretta del lavoro e del rapporto con il cliente e la capacità di innovare: quasi tutte le aziende del Cuneese sono piccoli capolavori di innovazione, come splendenti diamanti».

Dove si può migliorare?
«Nel farlo sapere. Ai corsi universitari ho la fortuna di parlare di un argomento che ha co­me metafora principale una me­­­daglia contraddistinta sem­­­pre da due facce: siamo tan­to bra­vi a fare e meno a comunicare».

Come guardare oltre il Covid?

«Il Covid è come milioni di altri suoi simili: ci accompagnerà e dovremo imparare a conviverci, il che vuol dire prendere le giuste precauzioni. Tutte le volte che arrivo in Africa e scendo dalla scaletta dell’aereo non mi controllano il passaporto ma il libretto sa­nitario: se non avessi fatto i vac­cini mi rimetterebbero sulla scaletta, mi farebbero risalire sull’aereo e mi direbbero di tornare un’altra volta. È un segno di rispetto nei confronti di tutti, delle persone così come del mondo del la­vo­ro. In generale, penso che guardare al futuro sia possibile: ho imparato che bisogna essere positivi e vedere il bicchiere mezzo pieno, mai mez­zo vuoto. Per ogni problema c’è sempre una soluzione e il più delle volte il problema siamo noi e non quello che ci troviamo di fronte: letta in questa chiave, la pandemia, co­­me tutti gli imprevisti, può essere l’occasione che ci permette di uscire dalla “comfort zone” e di andare incontro al nuovo a cui finora abbiamo avuto paura di aprirci».

Un esempio concreto?
«Fare rete. Si parla spesso di re­ti d’impresa, si fanno tavole rotonde con tante belle parole, che però rimangono fini a se stesse. Se riuscissimo a mettere da parte l’abitudine alla ri­ser­vatezza che contraddistingue il  Cuneese, ne verrebbe fuo­ri un grande valore aggiunto per la nostra economia».

Articolo a cura di Adriana Riccomagno