Home Articoli Rivista Idea «Vi faccio scoprire il fascino travolgente del canto gregoriano»

«Vi faccio scoprire il fascino travolgente del canto gregoriano»

Ezio Aimasso è l’ideatore e il direttore del coro “Haec dies” formato da dieci cantanti provenienti dall’Albese

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«Ascoltare canti gregoriani significa essere trasportati in un altro mondo. Non è musica, è la parola di Dio cantata. Quelli che so­stengono che il canto gregoriano sia superato è come se dicessero che è superata la parola di Dio». In poche battute il guarenese Ezio Aimasso esprime con straordinaria efficacia la passione che lo accompagna da sempre e lo ha portato ad affiancare alla sua professione di medico pediatra una carriera di studioso in ambito musicale, con all’attivo due album, due libri e numerosi articoli su riviste specializzate. Ci riassume così il percorso che lo ha condotto fin qui: «Terminata la specializzazione in Pediatria, nel 1985, ho ripreso a studiare il pianoforte, dando qualche esame da privatista al conservatorio. Così si è riaccesa la passione per la musica e nel 1998, alla verde età di 47 anni, ho conseguito il diploma in musica corale e direttore di coro al Con­servatorio di Cu­neo. Ma quel che mi portavo dentro fin da bambino (quando andavo a messa con mio nonno e ancora non sapevo leggere ma avevo imparato tutti i canti a memoria) era il canto gregoriano. Così mi sono iscritto al Conservatorio di Torino per seguire il corso di canto gregoriano, ho conseguito la laurea breve e quella magistrale, ma ancora non ero soddisfatto; dopo due anni di studio, sono stato ammesso al dottorato presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, che ho terminato nel 2012».

E quando ha pensato di formare un coro?
«Già quattro anni prima di quest’ultimo dottorato avevo creato un coro, che ai tempi era composto da sei o sette elementi. Ora sono dieci, tutti uomini, che arrivano da diversi paesi della provincia: Sommariva Bosco, Bra, Alba, La Morra e Montelupo albese. E poi ci sono io, che dirigo, che sono di Guarene».

Vi esibite, però, ben al di fuori della provincia…
«Inizialmente facevamo solo qualche concerto in zona, poi pian piano ci siamo “allargati”, andando a cantare anche in Lombardia, in Toscana, persino in Germania… L’as­sociazione è no profit e nessuno ci guadagna nulla dal punto di vista economico, ma lo facciamo per passione, per divulgare questo patrimonio storico, culturale e religioso che esiste da quindici secoli, ma che purtroppo da almeno cinquant’anni è stato messo da parte. E questo nonostante il Concilio Vaticano II abbia riconosciuto il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana, perno delle celebrazioni».

Dirigere un coro di canti gregoriani comporta difficoltà specifiche?

«Sì, è completamente diverso perché la musica polifonica e quella contemporanea hanno un tempo, mentre il canto gregoriano non ha tempi: il ritmo è dato dal fluire della parola, quindi devi essere tu che dirigi a sapere quali sono i punti preminenti, devi saper leggere le antiche notazioni e in base a quelle dare il ritmo al coro, mostrare come portare avanti il brano. Inoltre se in un coro di ottanta elementi che cantano a quattro voci uno sbaglia nessuno se ne accorge, invece se in un coro gregoriano, che di solito è composto al massimo da una dozzina di elementi che cantano a una voce sola, così se uno sbaglia te ne accorgi subito!».

Insomma, davvero un esercizio complicato e impegnativo.
«Assolutamente. Ma approfondendo gli studi ho imparato a cogliere certe finezze tecniche e mi sono sentito attirato sempre più verso queste melodie come da un filo invisibile. Ora, per esempio, sto preparando con una collega di Novara uno studio sull’uso del segno del bemolle e quando mi sveglio la notte la prima cosa che faccio è andare al computer per riprendere a esaminare antichi manoscritti! Certo a volte si percepisce un senso di isolamento, dato che la materia è di nicchia: è difficile trovare qualcuno con cui poterne parlare».

L’ha mai infastidita o scoraggiata il fatto che in pochi conoscano o possano ap­prezzare davvero ciò che la appassiona così tanto?
«No, perché è una cosa che faccio prima di tutto per me. Inoltre ci sono persone che apprezzano quello che faccio: la mia tesi di dottorato, che riguardava un manoscritto di Vercelli della fine del XII secolo, è diventata un libro che è stato recensito addirittura negli Stati Uniti. Quindi non mi turba il fatto che siano in pochi a conoscere la materia e con cui io possa dialogare».

E il pubblico? Per avvicinarsi al canto gregoriano bisogna essere predisposti, o ci si può “educare”?
«Per ascoltare non è richiesta nessuna preparazione: basta mettersi tranquilli e farsi permeare da queste melodie che ti entrano dentro e ti portano via. A volte sono proprio le persone meno preparate tecnicamente che ne godono di più».