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«Deve esistere un’educazione alla cultura»

Intervista ad Anita Piovano, docente, scrittrice e ricercatrice di Sommariva del Bosco

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Siamo a Sommariva del Bosco, per un in­contro con la professoressa Anita Pio­va­no (foto a lato), nota scrittrice di libri storico-artistici, di biografie e di testi scolastici di latino per le scuole superiori, nonché protagonista di diverse iniziative culturali all’insegna della riscoperta e della tutela del patrimonio artistico del paese.

Iniziamo con una domanda difficile: nella sua esperienza professionale si è sentita più vicina alla figura di docente, di scrittrice o di ricercatrice?

«Difficile rispondere perché tutti e tre i ruoli hanno assorbito il mio impegno, dettato dallo stesso uguale interesse e han­no finito per diventare l’uno complementare dell’altro. Co­me docente di italiano e latino nei licei ho cercato di trasmettere ai miei alunni non solo le competenze inerenti alle materie, ma la passione per la lettura, per lo scrivere e stimolare la curiosità alla ricerca, come arricchimento individuale».

Ultimamente la sua ricerca si è orientata su un pittore dell’Ot­­tocento, Giovanni Ma­r­ia Borri (nella foto in alto, ndr). Co­me è nata questa sua passione?
«In occasione della mostra organizzata nel 2007 dall’As­sociazione Culturale Santi Ber­nardino e Orsola, a Sommariva del Bosco, paese natale dell’artista e luogo in cui ha lasciato molte sue opere, mi venne chiesto di predisporre il catalogo, di scrivere le note introduttive e le didascalie delle fotografie. In quel frangente mi accorsi della sua validità artistica ampiamente ri­scontrabile nei tre soggetti presenti nella sua arte: ritratti, natura morta, tematiche religiose, che si intrecciarono in tutto l’arco della sua produzione».

In quale dei soggetti scelti l’artista le pare essere più convincente?
«In tutti e tre i temi e nell’ambito dello stesso tema dimostra creatività nell’interpretazione e nell’impostazione, nonché perizia nella realizzazione del soggetto. Durante la sua vita ha raggiunto un notevole successo di critica (venne paragonato ai fiamminghi) per il genere “natura morta”, che raffigurava soggetti inanimati, specialmente frutta, verdura, fiori, e oggetti di vario tipo: stoviglie, brocche, utensili da cucina, in quadri, per lo più, di piccole dimensioni: 35×25 centimetri, semplici ed essenziali nella composizione. Fu molto richiesto, però, nel corso della sua lunga carriera, anche per ritratti: le persone, da lui raffigurate, sembrano esseri u­mani in carne e ossa; rappresentati per lo più a mezzo busto, l’attenzione si focalizza sul vi­so, da cui emergono i tratti della loro indole. La stessa perizia si coglie nei personaggi di scene religiose, in particolare la Ma­donna, il bambino Gesù e gli an­geli, veri putti (di classica me­moria), inseriti in una perfetta scenografia. Sua consuetudine costante fu l’estrema cura dei particolari, coglibile anche nei paesaggi che completano lo sfondo di alcuni suoi dipinti (talvolta è riconoscibile quello sommarivese)».

Com’è stato mettere insieme tutte le tessere del mosaico, per riannodare i fili della vita di questo artista e cercare di rintracciare il maggior numero possibile delle sue opere?
«Sono partita dalla vita, dove i dati erano estremamente scarsi. La ricerca è stata condotta nell’archivio del Comune di Sommariva del Bosco e in quelli parrocchiali dei luoghi dove l’artista aveva vissuto. La lettura è stata interessante e, poiché in certi atti è presente anche la professione, c’è la conferma che Giovanni Maria Borri è stato sempre e solo pittore e che l’ambiente sociale da cui era partito era contadino. Contadini erano suo nonno, suo padre e lo sa­rebbe stato suo fratello, come anche i figli di suo fratello, due dei quali sicuramente emigrati a Nizza Ma­rittima. Nell’archi­vio del­l’Ac­cademia Albertina di To­rino c’è poi stata la conferma che Giovanni Maria Borri era stato allievo e vincitore di premi: quindi, passione e innata dote artistica erano state coltivate con studi d’indirizzo. La ricerca delle opere sta rivelando che molte di quelle ascritte all’artista sono ormai introvabili (gli eredi ne ignorano il destino), ma in compenso si sono trovate molte altre opere, non schedate, alcune delle quali attestano un aspetto inedito dell’artista, come l’esecuzione di disegni da litografare o quadri appartenenti alla pittura di genere. Su molti è apposta la firma del pittore: GBorri seguita dalla data, spesso in un inconfondibile colore rosso. E la ricerca continua, difficile, ma esaltante, quando si fanno scoperte del tutto inattese».

Ad esempio?
«Quando mi è giunta una segnalazione sorprendente e inaspettata, ossia che l’Art Legacy Auction Hou­se, una casa d’asta con sede a Chicago, Stati Uniti d’America, mandava all’asta un quadro di Giovanni Maria Borri, stimato in 25-28mila dollari statunitensi, una cifra notevole convertita in euro. Inaspettata per il luogo del ritrovamento: al di là dell’Atlantico. Sorpren­dente per il soggetto, che si ascrive alla pittura di genere, quella che portava nella lente dei pittori personaggi nuovi e scene inedite tratte dal mondo reale. Questo quadro conferma che, nella prima fase del suo percorso artistico, il pittore aveva dipinto soggetti di questo tipo, ispirati al mondo della campagna, ambientati in interni di case modeste, quadri ora introvabili».

Quale tecnica segue nelle sue realizzazioni pittoriche?

«Usa più tecniche, a seconda del soggetto e della destinazione, ma sempre mantenendo lo stesso livello artistico. Per ritratti, santi o scene religiose di discrete o grandi dimensioni sceglie olio su tela. Per natura morta e ritratti di piccolo formato preferisce, però, dipingere su latta, cioè su una lamiera di ferro dolce, spalmata su entrambi i lati con uno strato di stagno per impedirne la corrosione, perché in questo modo la pittura a olio acquistava maggiore lucentezza valorizzando l’esito finale. È stato molto abile nell’affresco, cioè nel dipingere “a fresco” la porzione di muro preparato dai muratori a intonaco, che asciugandosi e solidificandosi avrebbe incorporato i colori».

Come trasmettere alle nuove generazioni la passione per l’arte e la cultura?
«Due sono i primi centri propulsori: la scuola e la famiglia, a cui spetta il difficile compito di motivare questa scelta. Biso­gna, infatti, far comprendere che il bagaglio di conoscenze non è solo finalizzato alla futura professione e tutto il resto un mero orpello, ma arricchimento e strumento personale per meglio comprendere e affrontare gli ostacoli della vita e godere dei piaceri che essa ci può offrire, partendo dalle esperienze raccontate di chi ci ha preceduti. Le letture possono riguardare la sfera esistenziale, di chi ha scavato nell’intimo e si è interrogato sul senso della vita, su problematiche come solitudine, angoscia, noia che potremmo definire il “male di vivere”, cercando di dare risposte. Possono attingere ad approfondimenti storici che dovrebbero impedire il ripetersi di drammi che hanno segnato la storia dell’umanità. E poi la lettura di opere di poesia e di narrativa dove, dietro l’inventiva, si cela sempre un interrogativo reale. Per l’arte basta guardarsi intorno: non solo le grandi città, ma anche i nostri paesi, anche quelli più piccoli offrono testimonianze che vanno dall’architettura, alla scultura, alla pittura. Le nostre chiese, in particolare, sono dei piccoli gioielli che andrebbero custoditi e conservati con amore e con rispetto, perché ogni pezzo di tetto, di muro, d’intonaco che cade è un’offesa. E non è importante se uno sia credente o meno: l’arte non conosce barriere ideologiche. Per raggiungere questo scopo, però, bisognerebbe abituare, fin da piccoli, a guardarsi intorno, per ammirare la bellezza di un volto dipinto, la limpidezza di un paesaggio in prospettiva o la complessità scenografica di un evento storico, religioso, quotidiano».

Che cosa si potrebbe/dovrebbe fare per supportare la cultura in questa fase storica?
«Come ho detto prima deve esistere un’educazione alla cultura e, poi, ognuno sceglierà, in sintonia con la sua professione o semplicemente come proficuo uso del suo tempo libero, uno o più settori, in grado di stimolare la sua curiosità, perché lo scibile è quasi infinito se comparato alla nostra esistenza. E queste curiosità e conoscenze possono, anzi devono essere comunicate: così diventano importanti i momenti di aggregazione, di incontro dove si comunica, si condivide e si stimola la curiosità altrui. Un esempio: i momenti della premiazione del Premio di narrativa breve, organizzato dall’Amministrazione comunale di Sommariva del Bosco (giunto alla V edizione), quando molti degli autori, provenienti da tutte le parti d’Italia, hanno potuto presentarsi, raccontarsi e interagire con il pubblico».

Dalla sua esperienza con un gruppo su Facebook, dedicato alla vita e alle opere di Giovanni Maria Borri, possiamo dire che anche i social e i supporti digitali possano es-sere d’aiuto?

«Sicuramente, perché si amplia la platea, si annullano le distanze geografiche e, se si instaura un giusto spirito di collaborazione, si approda anche a scoperte inimmaginabili. Certo bisogna puntare a creare interesse, curare la scelta dei soggetti e la loro sequenza, usare un registro adeguato senza scadere nella superficialità, nel ripetitivo, nel monotono».

Come indirizzare i giovani al giusto utilizzo di questi mezzi?
«Oggi i giovani vivono in simbiosi con il cellulare: è una realtà, che ci piaccia o meno. E allora anche il cellulare può diventare strumento, e ripeto, strumento di cultura. Sui social incominciano a esserci pagine dedicate alla letteratura, all’arte, alla filosofia, alle bellezze naturali. Certo pare essere difficile per il momento competere con le pagine social dei personaggi alla moda, basate il più delle volte su comportamenti quotidiani, sull’esteriorità, che non richiede troppo impegno se non guardare senza interrogarsi su che cosa si guarda. Il fatto stesso, però, che pagine di diverso tenore e soggetto abbiano un seguito è di per sé incoraggiante. D’altra parte “gutta cavat lapidem” e goccia dopo goccia lo scavo si allarga».

Articolo a cura di Alessandra Forlani